Il 19 settembre 2022 il Coordinatore del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, Tiziano Treu, ha trasmesso al Presidente del Consiglio una relazione nella quale illustra le attività svolte dal Tavolo, dalla sua seduta di insediamento, il 25 novembre 2021, al mese di luglio del 2022.
Quanto alle missioni del Piano, la stessa configurazione del dispositivo per la ripresa e la
resilienza pone al centro gli interventi per la transizione ecologica e l’innovazione
digitale ai quali sono destinati rispettivamente quasi il 41 e il 27 per cento delle risorse del
PNRR, per complessi 129,6 miliardi di euro.
“La digitalizzazione di tutte le strutture del Paese è essenziale per recuperare i ritardi sia nella
competitività economica, sia nella accessibilità dei servizi essenziali alle persone. In questo
senso, assume importanza cruciale la rapida diffusione delle reti di connessione ultraveloci in
tutte le aree del territorio nazionale, condizione indispensabile per l’accesso ai servizi digitali
delle pubbliche amministrazioni, dei cittadini e delle imprese. Accanto a questo obiettivo,
assume centralità il rafforzamento della digitalizzazione delle attività delle amministrazioni
pubbliche, che dovrà consentire un miglioramento della qualità e dell’efficienza dei servizi
rivolti ai cittadini e alle imprese attraverso procedure che valorizzino l’interoperabilità delle
banche dati esistenti. In questo senso, si ritiene essenziale che i progressi sul piano delle
tecnologie digitali applicate procedano di pari passo con la formazione dei dipendenti e la
dotazione di personale qualificato e siano accompagnati da una revisione complessiva delle
procedure amministrative che dovranno essere reingegnerizzate per sfruttare in modo
compiuto i vantaggi derivanti dall’innovazione tecnologica. Su un piano più generale, si
sottolinea l’importanza di accompagnare gli investimenti nelle tecnologie con altrettanti
investimenti sulle capacità a partire da quelle dei cittadini, come avviene con il Servizio civile
digitale, per arrivare a quelle dei dipendenti pubblici e privati, con un nuovo approccio
all’organizzazione delle attività lavorative.”
“Un capitolo essenziale nel quadro degli interventi del PNRR è rappresentato dalla Missione
6, che mira a ridisegnare i contenuti delle politiche sanitarie, tenendo conto anche
dell’esperienza maturata nei mesi dell’emergenza derivante dalla pandemia di COVID-19. In
questo ambito, si è condivisa la scelta di ridefinire gli standard dell’assistenza sull’intero
territorio nazionale, adottando nuovi modelli organizzativi di prossimità legati ai territori. In
tale contesto, si è richiesto, sul piano procedimentale, un maggiore coinvolgimento delle parti
sociali nel processo di ridefinizione del sistema di assistenza territoriale, che ha portato
all’adozione del decreto del Ministro della salute n. 77 del 2022, anche a seguito di
un’interlocuzione tra parti sociali e Ministero. Quanto ai contenuti del nuovo sistema di
assistenza territoriale, appare essenziale, oltre a garantire la realizzazione degli interventi
infrastrutturali previsti dal Piano, assicurare un adeguato finanziamento dei servizi da erogare
nelle nuove strutture garantendo in particolare la presenza del necessario personale sanitario
e, in special modo, dei medici di medicina generale nelle case della comunità e negli ospedali
di comunità.
Si è altresì sottolineato come la piena attuazione del nuovo disegno presupponga un più
stretto coordinamento fra interventi in ambito sanitario e politiche sociali, con un più efficace
raccordo con gli interventi di competenza degli enti locali, specialmente per quanto attiene
all’assistenza delle persone anziane o con disabilità, sfruttando anche le potenzialità offerte
dall’utilizzo delle funzioni di telemedicina, per le quali occorreranno adeguati investimenti
nella formazione tanto del personale medico quanto di quello amministrativo.
Le indicazioni del tavolo hanno confermato la importanza del Piano, la sua capacità di
rispondere alle modifiche del contesto e la necessità anche di per adeguarne i contenuti, ove
necessario, al fine di meglio raggiungerne gli obiettivi nel difficile scenario nazionale e
internazionale che si è andato configurando.
Il metodo partecipativo fin qui seguito risulta più che mai necessario per sostenere l’impegno
comune necessario alla piena attuazione del Piano anche nella prossima legislatura.”
Tra i temi di carattere generale su cui si è concentrata l’attenzione in materia di
amministrazione pubblica, sono stati quello della semplificazione e trasparenza per cittadini
e imprese, quello del reclutamento del personale pubblico, quello della valorizzazione e
sviluppo del capitale umano e quello della digitalizzazione.
LE PRINCIPALI POLITICHE DEL PNRR
3.1 Transizione digitale
Nel condividere l’importanza della digitalizzazione e della interoperabilità dei dati con
l’obiettivo di recuperare efficienza e operatività della PA, si è rilevato come l’impatto positivo
di queste innovazioni tecnologiche presupponga, a monte, la razionalizzazione e la
semplificazione dei processi e l’adeguamento delle connesse competenze del personale.
La percezione dei componenti del Tavolo permanente circa lo stato di avanzamento dei
processi di innovazione tecnologica e digitalizzazione della PA, sulla base degli interventi
normativi e degli investimenti avviati prima dell’adozione del PNRR, risulta piuttosto
articolato in diversi rilievi critici.
La rilevazione più ricorrente riguarda il basso livello di interoperabilità delle basi di dati delle
Amministrazioni che ne dispongono, criticità che si estende anche alla comunicazione e
scambio tra unità appartenenti alla medesima struttura amministrativa.
Ulteriori rilievi hanno riguardato la disomogeneità delle informazioni delle diverse
amministrazioni nella interazione con le imprese, a causa della mancanza di un progetto
complessivo di riorganizzazione dei rapporti fra gli attori pubblici e privati. Si ritiene
essenziale che questo ricomprenda consistenti interventi di formazione e un piano pubblico
“massivo” di formazione dei cittadini all’utilizzo dei servizi digitali, tenuto anche conto
dell’età avanzata di una fascia della popolazione non in grado di interagire con una PA
digitalizzata.
Sul piano tecnologico è stata lamentata l’assenza di piattaforme unitarie, nazionali in settori
specifici che siano in grado di interoperare secondo standard europei a tutela della
competitività delle imprese nazionali; nonché l’insufficienza dei livelli di connettività del
territorio nazionale non solo nelle aree interne ma anche in alcune grandi città prive di
infrastrutture e servizi digitali che precludono investimenti nelle cosiddette smart cities.
Date le criticità elencate, si è peraltro registrato un apprezzamento della complessiva strategia
alla base delle tre componenti della Missione 1 del PNRR a cui hanno fatto seguito numerose
indicazioni sia sugli aspetti generali della pianificata digitalizzazione, sia sugli specifici
interventi.
Sotto il primo profilo è stato rilevato che la produzione dei dati conseguente alla
digitalizzazione della PA richiede una governance molto chiara ed efficiente, anche in relazione
ai profili di vulnerabilità dei dati che richiederebbe, per alcune categorie degli stessi, la
qualificazione di beni comuni, utilizzabili solo al fine del soddisfacimento di interessi comuni.
A tal fine, tutti i dati dovrebbero essere accessibili allo Stato, fatte salve le preminenti esigenze
di tutela privacy.
Nella individuazione e realizzazione delle infrastrutture digitali (ad esempio il Cloud) resta
centrale l’adozione di una sovranità, nazionale ed europea, che garantisca la tutela e l’utilizzo
dei dati, in un perimetro protetto, da parte solo di chi territorialmente li produce. Allo scopo
si reputano necessari investimenti di natura industriale per lo sviluppo delle filiere di ICT e
dei relativi sistemi di sicurezza.
Parimenti importante appare la definizione di Linee guida circa i criteri di classificazione dei
dati e l’implementazione dei processi di normalizzazione, condizione imprescindibile della
effettiva interoperabilità.
Sotto tale profilo le scelte dei requisiti alla base dei progetti per l’interoperabilità in ambito
PNRR debbono tener conto dello stato di avanzamento a livello europeo, evitando la creazione di un “ecosistema nazionale”, pur coeso, interoperabile e funzionale, e tuttavia non
integrabile a livello europeo, con conseguenze negative sulla competitività del sistema
imprenditoriale nazionale.
Con riferimento al Digital Innovation Hub ed al bando promosso dalla Commissione europea
per favorire il processo di trasformazione digitale del sistema produttivo e della pubblica amministrazione, in un’ottica di crescita economica sia a livello nazionale che europeo è
formulato l’auspicio che l’unico progetto per questo hub riguardante il settore delle
costruzioni, che pesa circa il 22 per cento del PIL, rientri tra i progetti che il Governo riterrà
prioritari per sostenere la trasformazione digitale delle imprese di costruzione.
3.7 Le politiche per la salute
Con riferimento alla realizzazione degli obiettivi della Missione 6 ed in particolare di un
sistema integrato sociosanitario, tutte le Parti sociali hanno evidenziato l’importanza sia del
loro coinvolgimento, sia della partecipazione del mondo delle Autonomie locali e delle
Regioni cui va demandato di regolamentare i piani di collaborazione con Province, Comuni
e loro unioni. Esse ritengono di poter giocare un ruolo indispensabile nella rilevazione dei
fabbisogni, delle opportunità e delle risorse dei territori, nella formulazione dei criteri per lo
sviluppo di modelli predittivi di stratificazione della popolazione, nel monitoraggio e nella
formulazione degli obiettivi assistenziali.
A tal fine, le “convenzioni” dovrebbero essere finalizzate a costruire un “sistema di
responsabilità condivisa” fra soggetti istituzionali e soggetti sociali con il coinvolgimento del
volontariato e del privato.
In particolare, uno stretto dialogo e confronto con le parti sociali e con le associazioni del
terzo settore, è necessario per le scelte e la progettazione delle misure riguardanti la Missione
6, attraverso lo sviluppo di una logica di co-programmazione e co-decisione.22 Serve anche
la realizzazione di un quadro di competenze adeguate ai nuovi modelli di sanità, con
particolare riferimento ai professionisti, ai quadri intermedi e ai responsabili di servizio.
Le Parti sociali possono in ogni caso rendere un contributo effettivo, favorendo
l’avvicinamento dei cittadini alla nuova governance del sistema e il superamento della
frammentazione delle prestazioni e degli attori, pubblici e privati. Al riguardo è importante
costruire un nuovo ruolo del Distretto con valenza strategica/gestionale di sintesi e delle
politiche territoriali (e non solo di autonomia tecnico-gestionale) anche attraverso norme
riguardanti la composizione dei soggetti istituzionali, le responsabilità degli enti locali e delle
Regioni, di cui va rafforzata l’efficacia programmatoria.
Riconoscere tale ruolo attivo nei processi di governance locale agevolerebbe la
implementazione, il monitoraggio e valutazione degli investimenti, con la valorizzazione delle
esperienze e delle potenzialità e la strutturazione di reti per rispondere a bisogni plurimi dei
cittadini e stimolarne la propositività. Al riguardo sono state formulate proposte per la
trasformazione in voucher di servizi delle indennità legate ai programmi di tutela alla persona,
quali ad esempio le indennità di accompagnamento e per istituzionalizzare l’assistenza
erogata dalle assistenti familiari e dai caregiver, prevedendo una adeguata formazione e
l’istituzione di una specifica procedura di accreditamento.
Con riferimento al processo di adozione del decreto ministeriale che definisce i nuovi standard
e modelli per l’assistenza territoriale, è stata sollecitato un maggior coinvolgimento delle Parti
sociali, degli enti locali e della società civile, che è stato effettivamente assicurato dal Ministero
della salute. Quanto al merito del provvedimento, è stato lamentato un certo grado di
genericità sulla integrazione del Servizio sanitario con i servizi socioassistenziali, in quanto
non si definirebbero le modalità attuative di tale integrazione. In particolare, lo standard di
personale per la Casa della comunità (CDC) Hub (ogni 40-50.000 abitanti), prevede solo un
assistente sociale per un bacino di popolazione così elevato con la conseguenza che questa
figura potrà svolgere solo un ruolo di interfaccia tra i servizi sanitari interni e quelli sociali
presenti sul territorio.
Lo stesso rilievo varrebbe con riferimento al Punto Unico di Accesso (PUA) che le Case
delle comunità devono assicurare, ma solo in relazione ai servizi sanitari.
Inoltre, lo standard di una Casa ogni 37-47mila abitanti renderebbe problematico concentrare
in una stessa sede i professionisti operanti in piccoli comuni distribuiti su un vasto territorio,
lontani dalla CDC. Sarebbe altrettanto problematico per i cittadini affetti da patologie
croniche gravitare su una casa che non si può definire di prossimità, specie per gli abitanti in
zone disagiate. In assenza di un frame organizzativo adeguato, il rischio di fallimento
dell’istituto sarebbe reale.
Non risulta chiaro come i vari attori e strumenti, medici di famiglia e specialisti, infermieri di
famiglia e comunità, assistenti domiciliari, cure palliative, consultori famigliari, attività
psicologiche, attività di prevenzione, etc., possano integrarsi all’interno delle Case della
Comunità intese come perno dei rispettivi territori di riferimento e come esse possano
funzionare con entità appaltabili all’esterno.
Da più parti è stata rilevata la inadeguata esplicitazione del ruolo dei medici di medicina
generale (MMG), dei pediatri di libera scelta e delle equipe multiprofessionali e il mancato
riferimento alla salute mentale e alle dipendenze, con il rischio che tali ambiti restino esterni
o, persino, controparte del sistema distrettuale.23
Sul piano operativo le Parti ritengono necessaria la presenza dei MMG nelle Case di
Comunità, perché senza un rafforzamento del ruolo e di una formazione adeguata, sarà
difficile assicurare la tenuta degli obiettivi previsti dal decreto ministeriale n. 77 del 2022. Tale
problema va affrontato, per alcune delle Parti, rafforzando la sinergia delle politiche di
formazione dei professionisti sanitari prevedendo corsi di laurea per la formazione dei MMG
e programmando il numero dei corsi offerti dalle scuole di specializzazione in stretta
coerenza con il fabbisogno sanitario. La formazione universitaria dei MMG garantirebbe
l’acquisizione delle conoscenze mediche specialistiche attraverso una standardizzazione dei
programmi universitari omogenei su tutto il territorio nazionale.
Un’altra preoccupazione emersa riguarda la capacità di effettiva integrazione del personale
interessato dalla riforma con le nuove realtà di assistenza territoriale. Se tale processo non
saprà coinvolgere la rete dei medici di famiglia, realizzando le opportune sinergie, il rischio è
che non siano colti gli obiettivi prefissati. Non è solo un problema di revisione della
formazione universitaria di tali soggetti, ma anche di un loro maggior coinvolgimento nella
relazione tanto con il sistema pubblico quanto con quello privato, in termini sia di sanità
privata sia di imprese della filiera salute, che formano una componente essenziale della catena
di assistenza e con le quali la rete dei MMG deve interagire.
Infine, la maggior parte delle Organizzazione ritiene che la formazione dei MMG non debba
avvenire su base regionale bensì universitaria.
Sul tema centrale della “prossimità” e delle connesse problematiche riguardanti i nuovi
standard, la distribuzione del personale e la formazione dei medici di medicina generale, la
discussione del Tavolo ha evidenziato articolate osservazioni e proposte.
Si rileva innanzitutto la consapevolezza che il concetto di prossimità non è meramente
spaziale ma implica l’implementazione delle infrastrutture che permettano l’erogazione dei servizi di telemedicina e la formazione del personale sanitario destinato a utilizzare tali
strumenti.
La realizzazione di un sistema di servizi sanitari diffusi capillarmente sul territorio e di facile
accesso ai cittadini richiede una distribuzione delle Case e degli Ospedali di Comunità non
fondato esclusivamente sul criterio del bacino di popolazione di riferimento ma che tenga
conto anche delle caratteristiche orografiche del territorio, per evitare che le aree interne
risultino ancora una volta svantaggiate. A tal fine occorre definire i criteri di densità di
popolazione per determinare il numero di abitanti da considerare nella definizione del
“Distretto” e garantire una effettiva assistenza territoriale che rispetti il concetto di
prossimità. La realizzazione deve altresì essere accompagnata da una revisione complessiva
delle infrastrutture (ivi comprese quelle stradali) nonché da una profonda rivisitazione del
Fondo Sanitario Nazionale
Sotto tale profilo, è stato espresso l’avviso che il finanziamento del Fondo Sanitario
Nazionale e dei i diversi fondi sociali, risulta inadeguato se al concetto di prossimità si vuole
far corrispondere una risposta al bisogno di salute ispirata all’uguaglianza. Al riguardo occorre
basare il modello gestionale su solide basi pubbliche, laddove la definizione di distretto come
“committente” sembra invece preludere ad una esternalizzazione di attività assistenziali.
Al concetto di prossimità si unisce quello di flessibilità e personalizzazione, nonché la
necessità di superare la frammentazione delle risorse, delle risposte e dei sostegni. Al riguardo
una nuova opportunità può essere rappresentata dal Budget di salute, quale strumento
attraverso il quale ricomporre le risorse private, pubbliche, delle reti formali e informali per
attuare progetti di vita per le persone non solo nell’ambito della salute mentale, dove è stato
inizialmente sperimentato, ma anche in situazioni di non autosufficienza e disabilità. Equipe
multiprofessionali, dovranno essere presenti, non solamente nelle Case-famiglia, ma anche
negli Ospedali di Comunità.
La costruzione di una effettiva prossimità richiede interventi molteplici: la messa in rete dei
piccoli ospedali con la loro riconversione in strutture territoriali per aumentare la massa
critica in termini di casistica e competence clinica, anche attraverso equipe itineranti; mantenere
le Unità operative nei piccoli ospedali con il correttivo di adottare logiche di specializzazione
in determinate vocazioni così da redistribuire e concentrare la casistica all’interno della rete
ospedaliera e rispettare gli standard; concentrare le tecnologie e le grandi attrezzature
clinicamente più efficaci e produttive, per aumentare tasso di saturazione della capacità
produttiva; ridurre i costi di gestione, per l’economia di scala e per il rinnovo infrastrutturale.
Inoltre, l’ottimizzazione della rete territoriale non può prescindere da una ristrutturazione dei
servizi di pronto soccorso ospedaliero.
Sulle questioni afferenti ai nuovi standard e alla revisione dei livelli essenziali di assistenza
(LEA) l’opinione prevalente delle Parti è che siano necessarie risorse aggiuntive.
Viene rilevato che mancano studi e simulazioni che possano individuare gli effetti economici
prodotti dagli interventi previsti dal decreto ministeriale n. 77 del 2022, soprattutto per
quanto riguarda il costo del personale, in termini di spesa pubblica aggiuntiva.
Nello scenario attuale di sanità regionalizzata e ancora declinata in “silos”, è preoccupante il
mancato raccordo tra il PNRR e i modelli standard per la medicina del territorio e standard
qualitativi, strutturali e tecnologici ospedalieri (decreto del Ministro della salute n. 70 del
2015), che andrebbero rapidamente ammodernati. La mancata messa a regime, per motivi di
natura economica e finanziaria, delle Case e degli Ospedali di Comunità metterebbe
ulteriormente in crisi le strutture di pronto soccorso e gli ospedali italiani.
I LEA andrebbero rivisti alla luce dell’organizzazione della sanità territoriale prevista dal
decreto ministeriale n. 77 del 2022, specificando le prestazioni che dovranno essere assicurate
dalla sanità territoriale per evitare che gli ospedali debbano “surrogare” al territorio erogando
prestazioni non complesse.
Una organizzazione sindacale ha proposto l’istituzione di un quarto livello essenziale
dedicato all’area della emergenza-urgenza ospedaliera e territoriale, con risorse dedicate,
attraverso la creazione di una rete unica e l’introduzione di uno stato giuridico unico per il
personale che lavora nel settore.
È stato infine osservato che per la definizione dei requisiti standard dell’assistenza territoriale
e l’uniformità dei LEA, il margine di autonomia delle Regioni parrebbe eccessivo, dato il
rischio di produrre ulteriore frammentazione del Servizio sanitario nazionale.
Sulle tematiche dell’innovazione tecnologica e della telemedicina in particolare, le Parti sociali
oltre a sottolineare i presumibili tempi lunghi di attuazione hanno evidenziato la necessità di
investimenti dedicati per la messa in sicurezza dei dati e per garantire la conformità dei servizi
(e dei dispositivi digitali che ne abilitano l’erogazione) agli elevati standard di sicurezza
richiesti.
La digitalizzazione dei servizi di cura non si risolve nella loro dematerializzazione informatica,
ma deve scaturire da un processo di riforma e ripensamento del modello di erogazione dei
servizi, secondo logiche innovative e a maggior valore aggiunto per la totalità degli stakeholders
coinvolti.
Al riguardo è stato riportato che sono ancora poche le aziende che raccolgono e integrano
diverse fonti di dati per la gestione sociosanitaria del paziente e, soprattutto, che questi dati
non vengono resi fruibili alla filiera professionale per l’attività clinica quotidiana.
Occorre uscire dalla contrapposizione pubblico/privato, coinvolgendo gli operatori di
mercato esperti in innovazione digitale e sanitaria e ricercando le best practices già esistenti nel
settore sia privato sia della sanità integrativa. Secondo l’apprezzamento di un’altra
organizzazione, la piattaforma deve essere nazionale, pubblica e proprietaria e vedere la
strutturazione della rete secondo il principio della privacy by design.
Al riguardo, diverse Organizzazioni hanno ritenuto che il settore “Salute” debba essere
espressamente incluso all’interno del Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica (decretolegge 21 settembre 2019, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 2019,
n. 133 e articolo 3 del DPCM 30 luglio 2020, n. 131), anche nella considerazione che il settore
“salute” potrebbe comunque rientrare fra i “servizi digitali” o fra le “tecnologie critiche” di
cui al Regolamento (UE) 2019/452.
Inoltre, l’utilizzo degli strumenti di telemedicina andrebbe monitorato da un’apposita
struttura che tuteli la sicurezza dei dati, sia in tema di privacy che di cybersecurity, fatta salva
l’autonomia dei professionisti.
In ogni caso le Parti concordano sulla necessità di investimenti specifici a ciò dedicati.
Molto avvertito dalle Parti sociali è il tema della dotazione di personale necessaria alle
trasformazioni pianificate nelle riforme, tanto più che non risulterebbe chiaro quali saranno
le reali dotazioni organiche necessarie a garantire il buon funzionamento del sistema. Si
osserva, infatti, che il decreto ministeriale n. 77 del 2022 richiede di definire gli standard del
fabbisogno del personale, indicando il numero dei professionisti da prevedere per ogni
ambito e per ogni singolo profilo con particolare riferimento all’assistenza domiciliare.
Attualmente, non vi sarebbe, secondo alcuni componenti del Tavolo, personale a sufficienza
per riempire le strutture ipotizzate (specie con riferimento all’assistenza territoriale). I piani
di stabilizzazione del personale precario sono lenti, i nuovi piani assunzionali non decollano
ancora e il mancato rinnovo dei contratti nazionali del comparto e della dirigenza sanitaria,
scaduti da tempo, non aiutano il processo di reclutamento.
Resta pertanto la strada di procedere ad un importante piano di assunzioni, – e correlato
piano formativo mirato ad acquisire le competenze necessarie all’utilizzo delle nuove
tecnologie – superando gli attuali limiti previsti dalle norme non solo sui tetti di spesa per le
assunzioni, ma anche sui fondi contrattuali necessari a garantire il riconoscimento economico
di tutte le indennità. Al riguardo occorrerebbe una norma di delega, che individui principi e
criteri di intervento.
Le suddette preoccupazioni relative alla copertura dei servizi sono principalmente legate ai
criteri che stabiliscono il numero di medici e di infermieri previsti per numero di abitanti e
per struttura sanitaria. Questo in quanto, il numero di medici e di infermieri previsto appare
esiguo.
Sulla formazione del personale sanitario, di carattere specifico e integrato, anche nel versante
tecnologico e informatico, è stata espressa la raccomandazione di realizzare una stretta
collaborazione pubblico/privato. Essa andrebbe affidata a enti certificati e dare luogo al
conseguimento di crediti per l’Educazione Continua in Medicina (ECM).
Si è rilevato che la misura M6C2, Investimento 2.2, “Sviluppo delle competenze tecniche-professionali,
digitali e manageriali del personale del sistema sanitario”, non prevede un sub-investimento per
finanziare corsi di formazione in telemedicina. Questi corsi potrebbero essere inseriti nella
programmazione di quelli erogati per l’ECM.
Percorsi formativi ad hoc vanno garantiti altresì per il personale amministrativo chiamato a
trattare i dati prodotti dalle attività di telemedicina. In generale tutti i professionisti coinvolti
dovranno essere in grado di adempiere agli obblighi prescritti dal decreto legislativo 30
giugno 2003, n. 196, ed al costante aggiornamento della documentazione privacy e rispetto
delle norme poste dal Garante