La NaDEF rivede la previsione per quest’anno della spesa sanitaria contenuta nel DEF 2022: dai 131,7 miliardi dello scorso aprile l’esborso previsto cresce a 134 miliardi. Si tratta di un aumento che è ricondotto soprattutto ai maggiori costi che gli Enti del SSN dovranno affrontare per l’aumento dei prezzi soprattutto delle fonti energetiche. Nel DEF per il 2022 era previsto un incremento degli esborsi rispetto al 2021 del 3 per cento che portava la spesa a 131,7 miliardi, in flessione di 2 decimi di punto in termini di prodotto rispetto al precedente esercizio.

Sulla previsione incidevano soprattutto gli oneri connessi al rinnovo del trattamento economico del personale dipendente e convenzionato con il SSN per il triennio 2019-2021 e le nuove assunzioni, nonché la crescita delle spese farmaceutiche sia per somministrazione diretta (connessa alla rideterminazione del tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti e al conseguente indebolimento del pay-back, nonché all’aumento della spesa per farmaci innovativi), sia a quella convenzionata (attribuibile alle ulteriori risorse programmate per rafforzare la risposta del SSN alle patologie infettive emergenti e ad altre emergenze sanitarie). Più limitata, almeno nel 2022, era l’incidenza degli oneri correnti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

I redditi per lavoro dipendente erano previsti aumentare del 9,9 per cento, gli acquisti di prodotti farmaceutici del 6,9 per cento e la spesa in convenzione del 2,3 per cento. Le prestazioni sociali in natura corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market (al netto della farmaceutica) flettevano dello 0,32 per cento e le altre componenti di spesa, nell’ipotesi di una ulteriore aumento delle entrate da attività intramoenia e da compartecipazioni connesse ad un rientro dell’emergenza sanitaria e dei conseguenti limiti all’attività, si riducevano del 15,6 per cento. Nel triennio 2023-2025, la spesa sanitaria era prevista decrescere a un tasso medio annuo dello 0,6 per cento; il rapporto fra la spesa sanitaria e Pil si portava su livelli inferiori quelli precedenti alla crisi sanitaria già dal 2024. L’attenuarsi dei maggiori oneri indotti dal rinnovo dei contratti dei dirigenti degli enti del SSN e delle convenzioni per il triennio 2019-2021, la considerazione per i diversi aggregati di spesa di andamenti medi registrati negli ultimi anni e gli interventi di razionalizzazione dei costi già programmati avrebbero consentito di più che compensare, nelle intenzioni del Governo, i maggiori oneri dovuti all’attuazione del PNRR e a parte di quelli per il rinnovo dei contratti e delle convenzioni del personale del SSN per il triennio 2022-2024. Nel nuovo quadro tendenziale la spesa nel 2022 è prevista crescere del 4,8 per cento rispetto al 2021 confermandosi, tuttavia, in flessione in termini di prodotto, anche se solo di un decimo di punto.

Nonostante l’aumento superiore alle attese, si conferma la riduzione del peso di tale spesa sul totale di quella corrente primaria. Primi elementi sull’andamento della spesa nel 2022 possono trarsi dal monitoraggio dei pagamenti delle aziende sanitarie (di fonte Siope quindi di cassa) dei primi 9 mesi del 2022 in rapporto allo stesso periodo dello scorso anno. Pur da valutare con prudenza (ancora elevata è la dimensione degli importi da regolarizzare), forniscono prime indicazioni sull’evoluzione dei costi che caratterizzano questo terzo anno di convivenza con la pandemia. Nel complesso la spesa corrente primaria continua ad aumentare (+ 0,8 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno) ma in misura più contenuta rispetto a quanto prefigurato nel dato di preconsuntivo. Una differenza che si annulla se si escludono le spese per il personale, che nelle previsioni del Def erano formulate considerando, come si diceva, i rinnovi contrattuali che non si sono ancora tradotti in aumenti di spesa (al netto di tale voce la spesa in contabilità economica è prevista crescere del 2,4 per cento a fronte di una crescita di quella di cassa dei primi 9 mesi del 2,6 per cento). Mutano i contributi delle diverse componenti: si riducono ancora gli importi relativi agli acquisti di beni non sanitari (-4,3 per cento). Rimane accentuata la crescita dei beni sanitari (al 5,1 per cento), degli acquisti di servizi sanitari (+2,5 per cento) e, soprattutto di quelli non sanitari (+10 per cento) Tra gli acquisti di servizi crescono in particolare sia le spese per quelli ospedalieri (+3,7 per cento) che specialistici (+4,6 per cento), soprattutto nelle regioni del Nord anche per il recupero delle prestazioni mancate negli anni di maggior vigore della crisi sanitaria.

Una annotazione particolare meritano i pagamenti più direttamente collegati al caro energetico: riscaldamento e energia nei primi 9 mesi dell’anno hanno registrato una crescita di costi di poco meno del 54 per cento. Si tratta delle voci più interessate, ma non le uniche, ad essere direttamente o indirettamente toccate dalla crescita inflattiva. Nel triennio 2023-2025, il profilo è confermato in forte riduzione (-1,1 per cento in media all’anno). Il rapporto fra la spesa sanitaria e Pil si porta su livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi sanitaria già dal 2024 (al 6,2 per cento), per ridursi ancora di due decimi nell’anno terminale. A fronte di tali andamenti per il 2022 è stato rivisto in aumento l’importo del fabbisogno sanitario nazionale cui contribuisce lo Stato. La legge di bilancio per il 2022 ne aveva disposto un incremento di due miliardi, portandolo a 124,1 miliardi nel 2022 (126,1 nel 2023 e 128,1 nel 2024). Era poi cresciuta la dotazione del fondo destinato a garantire il rimborso alle regioni delle spese sostenute per l’acquisto dei farmaci innovativi (+100 milioni nel 2022, +200 nel 2023 e + 300 a partire dal 2024) ed era autorizzata una ulteriore spesa per i contratti di formazione specialistica dei medici (194 milioni nel 2022, 319 nel 2023, 347 nel 2024 fino a 543 milioni dal 2027).

Nella valutazione dell’aumento di risorse reso disponibile dalla legge di bilancio per il 2022 va considerato che, dei 2 miliardi di incremento del finanziamento, circa 1500 milioni erano destinati ad interventi specifici e aggiuntivi previsti nel provvedimento. Si tratta innanzitutto della spesa per una prima implementazione delle misure per l’attuazione del Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023 (200 milioni nel 2022 e 350 nel 2023), della proroga dei rapporti di lavori flessibili e della stabilizzazione del personale sanitario (200-300 milioni nel 2022), dell’incremento fino a un massimo di 500 milioni del limite di spesa destinato all’acquisto di prestazioni da privato per il superamento delle liste d’attesa, del rafforzamento della riforma dell’assistenza territoriale con l’autorizzazione al reclutamento di personale dipendente (91 milioni nel 2022, in rapida crescita negli anni successivi), della proroga delle disposizioni in materia di assistenza psicologica ex art. 33 del decreto-legge n. 73 del 2021 per circa 38 milioni, dell’aggiornamento dei LEA (200 milioni annui dal 2022), dell’indennità di pronto soccorso (90 milioni nel 2022) e della proroga delle Usca (stimate in 105 milioni). Nel corso dell’esercizio sono stati disposti ulteriori aumenti: 200 milioni dal d.l. 50/2022 e 1.400 milioni dal d.l. 144/2022 per i maggiori costi riconducibili al settore energetico, a cui va ad aggiungersi l’incremento destinato ad un potenziamento dell’assistenza a tutela della salute mentale (bonus per l’assistenza psicologica, 15 milioni). Sono rimasti invariati, invece, gli importi previsti per il 2023 e seguenti.

A legislazione vigente le risorse a cui si parametra il contributo dello Stato crescono nel prossimo anno di mezzo punto percentuale per aumentare dell’1,7 per cento nel biennio successivo. Un andamento su cui incide soprattutto il venir meno o il ridursi nel 2023 di alcuni finanziamenti per interventi finalizzati (è il caso, ad esempio, di quello per il concorso agli interventi del d.l. 34/2020, -500 milioni) o di interventi vincolati (1.600 milioni perl’energia e 500 milioni per le liste d’attesa). Al netto degli interventi finalizzati e/o vincolati per regioni o enti, il finanziamento cresce nel 2023 del 2,7 per cento. Andrà verificato se un profilo di finanziamento (e di spesa) quale quello prefigurato nei quadri tendenziali sia compatibile con le necessità che ancora caratterizzano il comparto e, in particolare, con la oddisfazione dei fabbisogni di personale legati anche alla riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR e con le spese connesse all’aumento dei costi dell’energia.

Con la sottoscrizione dei contratti istituzionali di sviluppo tra il Ministero e le Regioni avvenuta nel 2022 si è avviata la riforma dell’assistenza territoriale disegnata dal d.m. 77 e prevista dal Piano che prevede l’istituzione di almeno 1.350 Case della comunità, 400 Ospedali di comunità, 600 centrali operative territoriali e lo sviluppo della telemedicina, che dovrà poter assistere a domicilio almeno 800.000 persone con oltre 65 anni. Una riforma che necessita di una adeguata dotazione di personale e per la quale è funzionale un incremento della formazione medico specialistica. Per quanto attiene alla formazione medico specialistica, nel 2021, ai 13.200 contratti statali finanziati con le risorse del Fondo sanitario nazionale, se ne sono aggiunti ulteriori 4.200 finanziati dal PNRR, per un totale di 17.400 contratti (a fronte dei 13.400 del 2020).

Se ciò nel medio periodo consentirà di rispondere meglio alle esigenze di cura, nel breve non potrà impedire che continuino a persistere difficoltà di risposta alle urgenze, come testimoniano i ritardi registrati nei pronto soccorso o nel riassorbimento delle liste d’attesa. Fabbisogni che si aggiungono a quelli che emergono già nella condizione attuale e che riguardano soprattutto il personale medico di alcune specializzazioni (medicina di urgenza, anestesia e rianimazione…) e quello infermieristico, pesantemente sottodimensionato in molte aree e nel confronto con standard europei. Secondo i dati OECD4, nel 2019 in Italia operavano 4,1 medici per 1.000 abitanti, superiore alla media europea del 3,6. Nello stesso anno, in Germania e in Spagna si registravano 4,4 medici per 1.000 abitanti, in Francia 3,2 e 3,0 nel Regno Unito. All’opposto, per il personale infermieristico, lo stesso indicatore si attesta al 6,2 infermieri per ogni mille abitanti, leggermente più alto della Spagna (5,9), mentre la media europea è dell’8,8. In Germania si registravano 13,9 infermieri ogni 1.000 abitanti, in Francia 11,1 e nel Regno Unito 8,2. Mettendo in relazione lo standard internazionale 1:3 per il personale infermieristico (3 infermieri per un medico) ai dati presenti nell’Annuario statistico, sia per il personale del SSN che per quello operante nelle strutture equiparate, nel 2020 si registrava una carenza di infermieri di circa 65mila unità. Per la realizzazione della riforma territoriale sarà poi indispensabile definire il ruolo che dovranno avere i medici di medicina generale, per i quali dovrà essere definito il nuovo accordo convenzionale e agevolato il ricambio generazionale.

Progressi significativi sono stati fatti sul fronte della carenza di medici di medicina generale – lamentata in molti Comuni, soprattutto, del Nord – ampliando ulteriormente il numero di borse disponibili: dalle 1.075 borse del triennio 2017/2020 si è passati a 2.046 per il 2020/2023. Il contingente risulta sostanzialmente raddoppiato nel triennio 2021/2024 anche grazie alle maggiori risorse stanziate nell’ambito del PNRR. L’aumento delle borse per medici di famiglia e specialisti pone le condizioni per il superamento del fabbisogno di personale sperimentato nella sua gravità nel corso della pandemia, manca ancora, tuttavia, la maturazione di una modifica degli accessi e un riconoscimento delle professionalità che permetta di trattenerne e “accrescerne” l’esperienza nell’ambito delle strutture pubbliche con adeguate prospettive professionali. Un problema di risorse sembra cogliersi anche per quello che riguarda l’aggiornamento del sistema tariffario, a cui è strettamente legata l’operatività dei nuovi Livelli essenziali delle prestazioni. Un provvedimento che, nonostante il lavoro predisposto dagli uffici del Ministero con la comunità scientifica e le Regioni, è atteso ormai da cinque anni.

Tale aggiornamento potrebbe consentire una razionalizzazione della spesa, consentendo anche di finanziare parte delle estensioni. Il quadro che emerge sul fronte della spesa sanitaria risulta, quindi, particolarmente stringente. Ciò senza contare il permanere dei fabbisogni per la riduzione delle liste di attesa e quelli connessi al recupero di livelli di qualità nella garanzia dei LEA segnati dalla crisi sanitaria. Come emerge dai piani per il riassorbimento delle prestazioni mancate negli anni della pandemia, in molte regioni il recupero è ancora in atto ed è previsto completarsi nel prossimo anno. In tema di recupero dei tempi di attesa, i dati diffusi di recente dal Ministero della salute e da Agenas confermano il permanere di criticità: sono, ad esempio, ben 14 le regioni che presentano performance peggiori di quelle del 2019 nel caso degli interventi cardio vascolari caratterizzati da maggiore urgenza (classe A) che dovrebbero essere eseguiti entro 30 giorni.

Solo di poco migliore l’andamento per quanto riguarda i tumori maligni: sono 12 le regioni che hanno peggiorato le loro performance. Anche le prestazioni di specialistica ambulatoriale non hanno recuperato i livelli del 2019: nel primo semestre 2022 le prestazioni erogate risultavano in media nazionale inferiori del 12,8 per cento a quelle dello stesso periodo del 2019 e 13 regioni si collocavano al di sotto della media (di cui 7 segnavano cali superiori di oltre 6 punti percentuali). Differenze territoriali sempre meno accettabili sono alla base di saldi negativi di mobilità sanitaria per ben 14 regioni, in prevalenza nel Mezzogiorno.

Nel 2021, dopo la pausa legata alla pandemia e alle relative difficoltà di mobilità, tende nuovamente a crescere il volume di risorse per pagamenti di prestazioni rese fuori regione, a testimonianza del permanere di criticità nell’assistenza garantita in alcune realtà territoriali. I primi 9 mesi del 2022 registrano, infine, una riduzione della spesa per investimenti di oltre il 13 per cento. Una flessione che sembra interrompere quest’anno la crescita che si era registrata nel triennio trascorso con variazioni del 19-18 per cento annue e che interessa tutte le aree del Paese, ma con punte più accentuate nelle regioni meridionali continentali (-26,3 per cento).

Di Remo12

Lascia un commento

Follow by Email
LinkedIn
LinkedIn
Share