È il caso della sanità, dove criticità ormai evidenti richiederanno interventi strutturali di portata ben superiore a quelli introdotti con il d.l. 34.
Il d.l. 34/2023 oltre a prevedere misure volte a ridurre l’utilizzo delle esternalizzazioni, dispone che le aziende possano far ricorso per il personale medico e infermieristico, alle prestazioni aggiuntive previste dal contratto con una tariffa oraria che può essere aumentata, rispettivamente, fino a 100 euro e fino a 50 euro lordi omnicomprensivi, al netto degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione. A tal fine vengono destinate alle regioni 50 milioni per il personale medico e 20 milioni per il personale infermieristico per l’anno 2023.
In questo ambito, il riassorbimento dei ritardi dovuti alla pandemia si presenta più oneroso e l’aggiornamento dei LEA non è più rinviabile.
Le criticità di recente rilevate sul fronte delle strutture di assistenza e, soprattutto, su quello della medicina di emergenza, affrontate in via di urgenza dal d.l. 34/2023, sono destinate ad assorbire ulteriori risorse anche nel futuro ove si voglia muovere su soluzi ni più strutturali.
Ciò senza contare il permanere dei fabbisogni per la riduzione delle liste di attesa e per il recupero di livelli di qualità nella garanzia dei LEA segnati dalla crisi sanitaria.
Differenze territoriali sempre meno accettabili sono alla base di saldi negativi di mobilità sanitaria per ben 12 regioni, in prevalenza nel Mezzogiorno. Nel 2021, dopo la pausa legata alla pandemia e alle relative difficoltà di mobilità, tende nuovamente a crescere il volume di risorse per pagamenti di prestazioni rese fuori regione, a testimonianza del permanere di criticità nell’assistenza garantita in alcune realtà territoriali.
Ma anche della previdenza su cui pende, al di là di più ampi progetti di riforma, la conferma del regime attuale che comporterebbe comunque un intervento consistente.