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Nel 2022 la spesa sanitaria è cresciuta rispetto all’esercizio precedente del 2,9 per cento, raggiungendo i 131,1 miliardi. Continua la graduale flessione dell’incidenza in termini di prodotto rispetto ai livelli raggiunti durante la pandemia: dal 7,4 per cento del 2020, al 7,2 per cento del 2021, a poco più del 6,9 per cento dell’esercizio appena concluso. Essa rappresenta il 15,3 per cento della spesa corrente primaria.

Un risultato inferiore a quello scontato nei preconsuntivi della NaDEF dello scorso novembre (134miliardi), per la flessione, rispetto alle previsioni, delle spese disposte dal Commissario straordinario Covid e per la forte accelerazione degli introiti per il pay-back sui farmaci e sui dispositivi medici, quest’ultimi attivati nel corso del 2022 (a ben 7 anni dalla approvazione della norma che lo prevedeva).

La crescita registrata nell’anno è dovuta soprattutto agli esborsi per redditi da lavoro (quelli per la produzione diretta di servizi) che registrano un aumento del 5,7 per cento sia per la sottoscrizione dei rinnovi contrattuali del personale non dirigente (accordo certificato dalla Corte dei conti lo scorso 27 ottobre, cfr. Sezioni riunite in sede di controllo, delib. n. 42/2022), sia per la proroga nel ricorso al personale utilizzato per l’emergenza sanitaria di cui, in parte, è stata avviata la stabilizzazione.

A metà 2022 erano ancora in attività oltre 65.000 unità di personale impiegato durante l’emergenza.
Si trattava di 12.700 medici (erano 18.765 a fine 2021) e 28.000 infermieri (29.151 a fine 2021). Il restante personale (25.000 unità) era costituito da operatori sociosanitari ed altre professionalità (tecnici di radiologia, tecnici di laboratorio, assistenti sanitari, biologi, etc.). Di questi, prima delle stabilizzazioni previste dalla legge di bilancio per il 2022 risultavano assunti a tempo indeterminato 1.610 medici e 10.393 infermieri (oltre a 6.600 personale delle altre professionalità ecc.). Va considerato inoltre che sempre a metà anno erano ancora operative anche 1001 Usca, con oltre 7.300 addetti di cui 5.463 medici e 1.733 infermieri.

Nonostante la proroga di alcune misure e la possibilità di stabilizzare gli operatori sanitari (disposta dalla legge di bilancio per il 2022 nei limiti previsti dal d.l. n. 35/2019), nel 2022 si sono rese sempre più evidenti le carenze di organico, specie in alcune strutture.

In particolare, sono venute ad aggravarsi criticità nel funzionamento dei servizi di emergenza e urgenza, sia in riferimento all’utilizzo dei c.d. medici a gettone, sia, più in generale, in relazione alla disponibilità di risorse professionali per garantire il funzionamento di una componente cruciale del sistema di assistenza.
Al 31 dicembre 202017, operavano in Italia, nella Medicina Emergenza-Urgenza, presso le strutture pubbliche 5.043 medici e 488 medici presso le strutture private18, per un totale complessivo di 5.531
medici, in diminuzione dello 0,75 per cento rispetto al 2019 (5.573).

Guardando all’intero sistema, articolato nella sua componente territoriale (Centrali Operative 118,
mezzi dell’emergenza territoriale) e nella rete di strutture dell’emergenza funzionalmente differenziate in Punti di Primo Intervento, Pronto Soccorsi Ospedalieri, Dipartimenti di Emergenza- Urgenza-Accettazione (DEA) di I o di II livello, date le visite garantite annualmente e i tempi medi necessari per una singola visita, mancherebbero – secondo quanto calcolato da Simeu (Società italiana di medicina di emergenza e urgenza) – circa mille medici, considerando oltre a quelli a tempo indeterminato quelli precari (circa 1.500).

Una carenza cui però non sembra si riesca a sopperire neanche aumentando i posti a concorso per la specializzazione specifica: alla carenza strutturale va associata, infatti, la riduzione di interesse dei neolaureati per questa disciplina, per il maggior carico di lavoro rispetto alle altre specializzazioni, per gli orari di lavoro particolarmente pesanti, per le aggressioni aumentate negli ultimi anni in Pronto Soccorso e per la retribuzione considerata insoddisfacente20. Dal confronto tra i posti messi a bando e quelli assegnati nel concorso di ammissione dei medici alle scuole di specializzazione di Area sanitaria21, per l’a.a. 2021/2022, è risultato che il 50 per cento di quelli relativi alla Medicina di emergenza-urgenza (pronto soccorso) non sono stati assegnati; degli 866 contratti di formazione posti a concorso, ne sono stati attribuiti soltanto.

Lo stesso fenomeno, d’altra parte, era stato riscontrato anche nel precedente anno accademico: su 1.077 borse per lavorare in Pronto Soccorso, ben 456 erano rimaste vacanti (il 42 per cento). Ciò, in quanto i neo-laureati ambiscono a specializzazioni più spendibili sul mercato privato (cardiologia, dermatologia, oculistica, chirurgia plastica, ecc. per le quali, invece, tutti i posti sono stati assegnati), allontanandosi da quelle considerate più gravose e rischiose.

Sempre più spesso gli ospedali per sopperire alla carenza di personale e garantire il servizio di Pronto soccorso ricorrono a cooperative esterne, che forniscono medici e infermieri, con costi decisamente più alti rispetto alle retribuzioni pubbliche. I dati al momento disponibili sul fenomeno sono ancora limitati.

Una conferma delle difficoltà del sistema pubblico si trae dall’osservazione dei dati regionali: nel 2022 i servizi di soccorso non seguiti da ricovero eseguiti presso strutture private hanno comportato una spesa di oltre 174 milioni contro i 50 milioni in media nel triennio 2019-21.

Tali criticità hanno spinto ad un primo intervento oggi all’attenzione del parlamento (d.l. n. 34/2023) provvedimento che tuttavia non appare, ad un primo esame, risolutivo.

In aumento di un ulteriore 3,7 per cento anche la spesa per consumi intermedi, che già nel 2021 aveva registrato un incremento consistente (+10 per cento); una variazione che interessa sia gli acquisti di farmaci (+9,6 per cento) sia gli altri consumi (+1,4 per cento).
Su tali andamenti incidono diversi fattori a volte contrastanti tra loro: nel caso dei farmaci, in senso accrescitivo va sottolineata la spesa per farmaci innovativi connessa all’aumento nella dotazione del fondo destinato a garantire il rimborso alle regioni delle spese sostenute (+100 milioni nel 2022, +200 nel 2023 e + 300 a partire dal 2024), mentre in riduzione i proventi per il pay-back dei farmaci cresciuti in misura consistente nell’ultimo biennio (come nel 2021 le entrate da pay-back sui farmaci scontate nei conti regionali sono superiori ai 2 miliardi).

A inizio del 2023 l’Aifa ha diffuso i risultati relativi al monitoraggio dei pagamenti dovuti per i provvedimenti di ripiano della spesa farmaceutica per gli acquisti diretti per gli anni 2019 e 2020 e per il 2021.

Nel 2019 e 2020 l’importo richiesto è risultato rispettivamente pari a 1.361 e 1.396 milioni.

A febbraio scorso era stato versato il 99 per cento del dovuto. Ma soprattutto delle 101 aziende destinatarie del ripiano del 2019 che avevano avviato un contenzioso, 99 avevano presentato rinuncia, così come 71 delle 76 che avevano avviato contenzioso nel 2020. In relazione a quanto richiesto nel 2021 le aziende avevano pagato 1.023 sui 1.035 milioni richiesti.

Nonostante le modifiche apportate ai tetti di spesa, anche nel 2022 si confermano le eccedenze nel caso degli acquisti diretti: in tutte le regioni si sono avuti acquisti ben al di sopra del tetto previsto (il 7,65 per cento del fabbisogno sanitario). A novembre (ultimo dato disponibile) lo scostamento era di circa 2.431 milioni di cui il 50 per cento sarebbe posto a carico delle aziende.

Sul fronte degli altri consumi intermedi, l’aumento delle spese per dispositivi medici (in crescita nei conti regionali dell’1,6 per cento) e, soprattutto nell’esercizio, di quelle connesse ai prodotti energetici (le spese dirette per elettricità e riscaldamento che erano già cresciute di oltre l’8 per cento nel 2021, conoscono un incremento nell’anno di poco meno del 90 per cento) è in parte compensato dalla flessione dei pagamenti operati dal Commissario per il Covid e dalla attivazione del pay-back sui dispositivi medici .

Nel luglio scorso il Ministero della salute ha certificato i superamenti per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018. Il totale delle quote di ripiano a carico delle aziende fornitrici è stato calcolato in circa 416 milioni per l’anno 2015, 473 per il 2016, 552 per il 2017 e 643 per il 2018. In prossimità del termine di scadenza previsto per l’adempimento dei ripiani (14 gennaio 2023), le aziende produttrici hanno portato all’attenzione del Governo le difficoltà connesse all’adempimento degli oneri e l’impatto negativo della misura per l’intero settore, di cui hanno chiesto l’abolizione e la revisione delle soglie di spesa per i dispositivi medici regionali. Anche a fronte del copioso contenzioso attivato dalle aziende, il Governo è intervenuto con il d.l. 4 dell’11 gennaio 2023 posticipando al 30 aprile 2023 il termine per l’assolvimento dell’onere di ripiano. In seguito, con l’art. 8 del d.l. 34/2023 il Governo ha posto a carico del bilancio dello Stato una quota pari al 52 per cento del totale dei rimborsi mediante l’istituzione di un fondo con dotazione pari a 1.085 milioni per l’anno 2023.

A ciascuna regione e provincia autonoma sarà assegnata una quota determinata in proporzione agli importi complessivamente spettanti alle medesime regioni e province autonome per gli anni 2015- 2018. La restante quota del 48 per cento dovrà essere rimborsata dalle aziende fornitrici di dispositivi medici,che dovranno provvedere entro il nuovo termine del 30 giugno 2023. La possibilità di usufruire delladiminuzione derivante dal contributo statale è concessa alle sole aziende che abbiano rinunciato alcontenzioso eventualmente attivato, atteso che per le altre rimane fermo l’obbligo del versamentodella quota integrale a loro carico. Si prevede, inoltre, che le piccole e medie imprese, per far fronteall’obbligo di ripiano di quanto dovuto, possano richiedere finanziamenti garantiti con il Fondo diGaranzia per le PMI.

La spesa per le prestazioni sociali in natura, corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market, è pari a 41.776 milioni, in lieve calo rispetto al 2021 (-0,5 per cento).
Sostanzialmente stabile la spesa per la farmaceutica convenzionata (+0,3 per cento) la cui variazione è presumibilmente attribuibile al maggiore coinvolgimento delle farmacie, preordinato dalla normativa vigente; flette ancora l’assistenza medico-generica dell’1,7 per cento (-3,3 per cento nel 2021) cui era stato richiesto un maggior impegno durante l’emergenza. In riduzione anche le altre prestazioni sociali in natura acquistate da produttori market (assistenza specialistica, ospedaliera, riabilitativa) che, con una
flessione dello 0,4 per cento rispetto al 2021, si collocano poco oltre i 27,3 miliardi.

Un andamento che sembra risentire in misura limitata sia delle misure che sono state previste con i programmi per il recupero delle liste d’attesa che consentivano un coinvolgimento degli operatori privati accreditati, sia dei contributi che le regioni potevano riconoscere alle strutture accreditate per il caro energia.

Nei piani di recupero delle liste d’attesa per circa il 29 per cento del finanziamento stimato (512,5 milioni) era previsto il ricorso a committenza privata con quote molto diverse tra regioni. In particolare, per le prestazioni ambulatoriali la quota cresce al 32 per cento, al 30 per cento per i ricoveri e si riduce al 13 per cento per gli screening.

Per il 2023 è previsto un ulteriore incremento del 3,8 per cento che porta la spesa a 136 miliardi, in flessione di 1 decimo di punto in termini di prodotto.

Sulla previsione incidono soprattutto gli andamenti dei redditi da lavoro e dei consumi intermedi. I primi sono previsti crescere del 4,5 per cento: si tratta degli oneri connessi al rinnovo del trattamento economico del personale dirigente del SSN per il triennio 2019- 2021, delle nuove assunzioni, delle misure introdotte con il d.l. 34/2023 e dei primi incrementi relativi al personale da impiegare nelle nuove strutture dell’assistenza territoriale.

Il d.l. 34/2023 oltre a prevedere misure volte a ridurre l’utilizzo delle esternalizzazioni, dispone che le aziende possano far ricorso per il personale medico e infermieristico, alle prestazioni aggiuntive previste dal contratto con una tariffa oraria che può essere aumentata, rispettivamente, fino a 100 euro e fino a 50 euro lordi omnicomprensivi, al netto degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione. A tal fine vengono destinate alle regioni 50 milioni per il personale medico e 20 milioni per il personale infermieristico per l’anno 2023. L’indennità di pronto soccors o che la legge di bilancio per il 2023 ha introdotto dal 2024 viene prevista dal giugno 2023 destinando a tal fine 30 milioni per la dirigenza medica e 70 milioni per il personale del comparto.

Inoltre, fino al 31 dicembre 2025, in via sperimentale i medici in formazione specialistica possono assumere, su base volontaria e al di fuori dall’orario dedicato alla formazione, incarichi libero-professionali presso i servizi di emergenza-urgenza ospedalieri per un massimo di 8 ore settimanali con un compenso
orario di 40 euro lordi, che integra la remunerazione prevista per la formazione specialistica.

Con l’entrata in operatività di alcune delle strutture dell’assistenza territoriale sono, poi, previsti i primi oneri relativi al personale da impiegare. Nelle stime essi sono calcolati a partire dal 2022 e il 2023 rispettivamente in 823 e 1.002 milioni. Nel primo esercizio a regime (il 2027) la stima cresce a 2 miliardi per i quali dovranno essere trovate risorse a copertura per oltre 1.300 milioni.

Tra i consumi la crescita è trainata dalla spesa farmaceutica, sia per somministrazione diretta (connessa alla rideterminazione del tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti), che per la riduzione degli importi del pay-back, riferito nel 2022 agli importi relativi a più esercizi. La previsione inoltre sconta l’operare del tetto sui dispositivi medici e del conseguente meccanismo del pay-back su cui incideranno certamente gli sviluppi che si avranno in termini di contenziosi.

Limitata la variazione prevista per le prestazioni sociali in natura corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market. La crescita del 3,4 per cento è da ricondurre prevalentemente all’aumento dovuto al rinnovo delle convenzioni per l’assistenza medico generica, di cui si prevede un aumento del 15,3 per cento.

Nel triennio 2024-2026, la spesa sanitaria è prevista crescere a un tasso medio annuo dello 0,6 per cento; il rapporto fra la spesa sanitaria e Pil si porta su livelli inferiori quelli precedenti alla crisi sanitaria già dal 2024. L’attenuarsi dei maggiori oneri indotti dal rinnovo dei contratti dei dirigenti degli enti del SSN e delle convenzioni per il triennio 2019-2021, la considerazione per i diversi aggregati di spesa di andamenti medi registrati negli ultimi anni e gli interventi di razionalizzazione dei costi già programmati
dovrebbero consentire di più che compensare, nelle intenzioni del Governo, i maggiori oneri dovuti all’attuazione del PNRR e per la vacanza contrattuale per le tornate .contrattuali 2022-2024

Il quadro prospettato si pone in sostanziale continuità con quello del 2022, prevedendo una convergenza su un profilo di spesa precedente all’emergenza Covid. Ciò a fronte di necessità ben note e di esigenze nuove. Oltre al progressivo invecchiamento della popolazione che, anche nel DEF 2023, è ben evidenziato nell’analisi sulla sostenibilità fiscale e richiede, nel medio termine, una revisione in crescita delle risorse destinate al settore, la messa a regime delle misure di potenziamento della assistenza territoriale alla
base degli interventi previsti nel PNRR richiederà una attenta valutazione dei fabbisogni di personale per dar vita a dette strutture. Guardando alle stime che accompagnano gli interventi previsti, sono ancora significativi i fabbisogni di cui non è stata individuata la copertura.

Le criticità di recente rilevate sul fronte delle strutture di assistenza e, soprattutto, su quello della medicina di emergenza, affrontate in via di urgenza dal d.l. 34/2023, sono destinate ad assorbire ulteriori risorse anche nel futuro ove si voglia muovere su soluzi ni più strutturali.

Ciò senza contare il permanere dei fabbisogni per la riduzione delle liste di attesa e per il recupero di livelli di qualità nella garanzia dei LEA segnati dalla crisi sanitaria. Come emerge dai piani per il riassorbimento delle prestazioni mancate negli anni della pandemia, in molte regioni il recupero è ancora in atto. I dati relativi ai primi tre trimestri del 2022 evidenziano un’ampia variabilità nei livelli di performance raggiunti dalle varie regioni e spesso anche nella stessa regione tra le diverse linee di intervento.

Nel periodo esaminato solo due regioni documentano quote di recupero in linea con le attese in tutte le attività monitorate. I dati delle altre regioni evidenziano criticità nel raggiungimento degli obiettivi previsti per il trimestre, in misura ed ambiti differenziati. Considerando come livello soglia di allerta la metà della quota prevista in media di recuperi nel periodo (il 37 per cento), si attestano al di sopra di questo valore di recupero solo 12 regioni per i ricoveri, 9 per gli inviti e le prestazioni di screening e 10 per le ambulatoriali.

Anche sul fronte dei LEA, i primi dati relativi al monitoraggio del 2021, se fanno emergere un miglioramento delle performance regionali rispetto al 2020 quando più forte era stato l’impatto dell’emergenza sanitaria, indicano anche che le regioni che raggiungono un punteggio di sufficienza in tutte e tre le macroaree di assistenza sono ancora solo 13 (rispetto alle 11 del 2020) e criticità in più di una macro area in 3 Regioni.

Differenze territoriali sempre meno accettabili sono alla base di saldi negativi di mobilità sanitaria per ben 12 regioni, in prevalenza nel Mezzogiorno. Nel 2021, dopo la pausa legata alla pandemia e alle relative difficoltà di mobilità, tende nuovamente a crescere il volume di risorse per pagamenti di prestazioni rese fuori regione, a testimonianza del permanere di criticità nell’assistenza garantita in alcune realtà territoriali.

Si tratta di una condizione che richiederà scelte non facili in termini di allocazione delle risorse tra i diversi obiettivi, risorse al momento limitate nella prospettiva dei dati contenuti nella previsione. I limitati margini di manovra impongono un attento esame della qualità della spesa, innanzitutto con un’attenta analisi dell’efficacia di tutti gli strumenti per la razionalizzazione della sanità messi in campo negli ultimi anni di cui non sempre sono percepibili gli effetti in termini di risultati.

Di Remo12

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