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La Sanità Penitenziaria
- Cenni storici
- Un medico in ogni carcere
- Il rapporto di lavoro del personale sanitario delle carceri
- La gestione del servizio sanitario in carcere secondo la legge 354
- L’istituzione del servizio sanitario nazionale con la legge 419
- Il passaggio del personale sanitario delle carceri al servizio nazionale
- Le motivazioni del passaggio
- La necessità dell’indipendenza dei medici penitenziari
- Il passaggio dal Ministero della Giustizia al SSN
- Il tentativo di progetto strutturato di sanità penitenziaria
- La necessità della specializzazione del medico penitenziario
Il passaggio della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale
- Pietra miliare della salute dei detenuti
- Situazione sanitaria nelle carceri estremamente critica
- I principi sanciti dal Consiglio d’Europa
- La legge 833 del 1978
- Il Consiglio di Stato e la competenza esclusiva della sanità penitenziaria
- Dicotomia sanità penitenziaria sicurezza penitenziaria
- Il problema del sovraffollamento dei detenuti
L’istituzione delle REMS
- Che cosa sono e dove sono le REMS
Dagli OPG alle REMS
- Il reo folle
- Il codice Zanardelli
- Il codice Rocco
- L’Ordinamento Penitenziario del 1975
- La chiusura degli OPG
- La legge 81 del 2014
- La legge di conversione
- Le REMS
- Il pazzo delinquente
REMS: Il fallimento
- L’indagine parlamentare sugli OPG
- Le novità delle REMS
- L’intervento della Corte Costituzionale sulle REMS
- La condanna della CEDU
Lo stato della sanità penitenziaria prima del passaggio al SSN
- La relazione al Parlamento del Ministro Castelli sullo stato delle carceri
REMS e Sanità Penitenziaria.
Attualmente, uno dei più grandi problemi delle carceri italiane è la gestione dei detenuti con problemi sanitari: patologici, da tossicodipendenza e, soprattutto, da malattie mentali.
Di fatto, proprio i detenuti con problemi psichiatrici, sono quelli più difficili da gestire e che ogni giorno destabilizzano le maggior parte delle carceri italiane.
E, più in particolare, quasi tutti le aggressioni subite dal personale della Polizia Penitenziaria sono ad opera di detenuti psicopatici.
Indubbiamente, questa gravissima situazione non è altro che la conseguenza di due sostanziali modifiche alla gestione dell’esecuzione penale.
La prima è il passaggio della Sanità Penitenziaria dalla gestione del DAP a quella del Servizio Sanitario Nazionale.
La seconda, quella della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
Ma andiamo con ordine.
La Sanità Penitenziaria – Cenni storici
La protezione della salute come diritto sociale di grande importanza è diventata una priorità per molte nazioni a partire dal dopoguerra.
Infatti, nel 1946, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solo l’assenza di malattie”.
In altre parole, la salute è molto di più che la semplice assenza di malattia o disabilità.
Ogni individuo, indipendentemente dalla sua razza, religione, opinione politica o condizione economica e sociale, ha il diritto di godere del miglior stato di salute possibile. E i governi hanno il dovere di garantire la salute dei loro cittadini, adottando misure sanitarie e sociali appropriate per tutelare la salute pubblica.
L’assistenza sanitaria nelle carceri esiste da molto tempo.
Sin dall’unità d’Italia, con il R.D. 10 marzo 1871, n. 115, l’assistenza sanitaria è stata introdotta nell’istituto di pena.
1. Un medico in ogni carcere
Nel 1931 il Regolamento per gli istituti di prevenzione e pena ha previsto la presenza di un medico in ogni istituto penitenziario, anche se, in quel periodo, l’assistenza sanitaria non era ancora considerata un “diritto” dell’individuo, come lo è diventato dopo l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948.
Il Ministero della Salute è stato istituito solo nel 1958 e il Servizio Sanitario Nazionale nel 1978, il che dimostra quanto la sanità non fosse considerata una priorità nell’Italia del dopoguerra.
Tuttavia, la presenza di medici e personale sanitario all’interno delle carceri ha sempre dimostrato la volontà dello Stato di garantire la salute dei detenuti, anche se spesso la qualità dell’assistenza sanitaria è stata messa in discussione.
2. Il rapporto di lavoro del personale sanitario delle carceri
La legge n. 740 del 9 ottobre 1970 (1) è stata introdotta per regolare il rapporto di lavoro del personale sanitario nelle carceri, definendone il ruolo come eccezionale e non facente parte dell’organico dell’Amministrazione penitenziaria. Tale legge ha permesso agli operatori sanitari, la maggior parte dei quali già titolari di un rapporto con il Servizio Sanitario Nazionale o con un’organizzazione esterna alle carceri, di continuare a svolgere il loro lavoro all’interno degli istituti penitenziari.
Ciò nonostante, molti hanno criticato legge n. 740 del 1970, perché ha costretto i medici penitenziari a lavorare in condizioni precarie, esposti a gravi rischi professionali, fisici e biologici, tanto che l’Associazione Medici Amministrazione Penitenziaria Italiana (AMAPI) ha sollevato più volte la questione delle difficoltà normative ed economiche del personale sanitario penitenziario. Successivamente, la legge di Riforma Penitenziaria n. 354/75 (2) ha riordinato la materia, in linea con l’articolo 27 della Costituzione italiana.
La nuova legge ha sostituito il precedente Regolamento per gli istituti di prevenzione e pena, del 1931, che aveva previsto per la prima volta la presenza di un medico in ogni istituto penitenziario.
3. La gestione del servizio sanitario in carcere secondo la legge 354
L’Ordinamento penitenziario, costituito dalla legge 354, ha dedicato l’articolo 11 alla gestione del Servizio sanitario all’interno delle strutture penitenziarie. Questo articolo ha stabilito l’obbligo di fornire servizi sanitari adeguati alle esigenze della popolazione carceraria e la presenza di specialisti in psichiatria, senza però specificare i criteri. Nel comma 10 si affrontò il rapporto tra il servizio sanitario all’interno e all’esterno del carcere, consentendo all’Amministrazione penitenziaria di collaborare con i servizi sanitari pubblici locali, ospedalieri ed extraospedalieri in accordo con la regione e secondo le direttive del Ministero della Salute, per organizzare e gestire i servizi sanitari all’interno delle carceri.
Il benessere dei detenuti rimase sotto la competenza del Ministero della Giustizia e la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) del 1978 non menzionò esplicitamente la medicina penitenziaria, lasciandola, quindi, come un settore autonomo.
Nonostante le numerose modifiche apportate alla normativa penitenziaria nel corso degli anni, la questione sanitaria è stata interessata solo marginalmente da cambiamenti normativi che hanno riguardato settori connessi, ma di natura organizzativa secondaria. Anche il Testo Unico sugli stupefacenti del 1990 non ha influenzato in modo significativo la situazione.
4. L’istituzione del servizio sanitario nazionale con la legge 419
Verso la fine degli anni ’90, venne introdotta la legge n. 419 del 30 novembre 1998 (3) che aveva l’obiettivo di razionalizzare il Servizio sanitario nazionale e di adottare un testo unico per l’organizzazione e il funzionamento dello stesso. Questa legge conteneva quattro distinte deleghe legislative, tra cui quella prevista nell’articolo 5 che riguardava la riorganizzazione della medicina penitenziaria.
5. Il passaggio del personale sanitario delle carceri al servizio nazionale
A seguito di questa previsione, fu emanato il Decreto Legislativo n. 230 del 22 giugno 1999 (4), ispirato all’articolo 32 della Costituzione. Questo decreto sanciva il passaggio del personale sanitario e delle risorse dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale.
6. Le motivazioni del passaggio
Per capire meglio i motivi e le discussioni che hanno portato al passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, è importante considerare che fornire assistenza sanitaria in carcere non è una cosa semplice, a causa delle particolarità legate all’ambiente in cui si opera e alla situazione del paziente. La medicina penitenziaria si distingue proprio perché opera in un ambiente che può causare patologie, ma dal quale non si può prescindere. Ci sono aspetti che rendono il carcere un ambiente molto particolare: dal punto di vista assistenziale per la concentrazione di patologie, dal punto di vista medico-legale per la costante interazione con l’autorità giudiziaria e perché le decisioni cliniche possono avere un impatto significativo non solo sulla salute, ma sull’intera storia giudiziaria di una persona detenuta. Dal punto di vista organizzativo, poi, il paziente detenuto non ha la libertà di scelta dei servizi sanitari a cui rivolgersi.
7. La necessità dell’indipendenza dei medici penitenziari
Alcune persone ritenevano che i medici e gli infermieri, dipendenti o convenzionati con il Ministero della Giustizia, non potevano esercitare la loro professione in modo indipendente e secondo scienza e coscienza, poiché le loro decisioni erano subordinate all’Ordinamento penitenziario, ovvero a un sistema che non contempla autorità alternative o decisioni autonome, anche se basate sulla scienza medica.
Al contrario, le decisioni mediche riguardanti la salute delle persone detenute all’interno degli istituti penitenziari devono prendere in considerazione anche gli aspetti organizzativi e di sicurezza presentati dai direttori e dalle forze dell’ordine, ma spetta comunque al professionista la responsabilità di decidere i tempi e i modi delle cure sanitarie da fornire.
8. Il passaggio dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale
Il passaggio della competenza sanitaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale non ha rappresentato una semplice riassegnazione di competenze, ma la riformulazione di un servizio che ha avuto una storia di oltre un secolo nello svolgere delicati compiti istituzionali per le persone libere, detenute e poi nuovamente libere. I promotori della riforma della medicina penitenziaria volevano valorizzare l’impegno, la qualificazione e la dignità professionale dei medici penitenziari, restituendo loro il ruolo principale nell’intervento sanitario in carcere. In buona sostanza si voleva assegnare un nuovo ruolo ai medici penitenziari, basato sulle loro specifiche competenze, senza condizionamenti e sottomissioni al sistema.
9. Il tentativo di progetto strutturato di sanità penitenziaria
La riforma della medicina penitenziaria voleva essere un progetto ben strutturato, che unisse l’impegno professionale con l’offerta di servizi di alta qualità da parte delle Aziende USL territoriali, e che aiutasse a promuovere la civiltà e l’umanità all’interno delle carceri. Il medico penitenziario doveva diventare un elemento essenziale, in grado di esercitare la propria professione nel rispetto dei valori universali della vita umana. I medici penitenziari svolgono un compito difficile, che consiste nel rappresentare la salute in uno degli ambienti più avversi alla salute e al benessere. Si tratta di un paradosso che Foucault evidenziò in un testo del 1850, il quale sottolineava il ruolo fondamentale del medico nelle prigioni: “Il suo contributo è utile in tutte le forme di detenzione… nessuno potrebbe entrare più intimamente nella coscienza dei detenuti di un medico, che conosce meglio il loro carattere, esercitando una forte influenza sui loro sentimenti, alleviando i mali fisici e sfruttando questo ascendente per impartire severe parole o incoraggiamenti utili”.
10. La necessità della specializzazione del medico penitenziario
Durante un’audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali il 3 febbraio 2010, l’allora Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, sottolineò l’importanza del ruolo del medico penitenziario all’interno del contesto carcerario. Secondo lui, grazie alla presenza costante in questo ambiente, il medico è in grado di comprendere le reali esigenze e le capacità dei detenuti di strumentalizzare la propria situazione per enfatizzare malattie e creare situazioni complesse che richiedono l’intervento di un medico esperto dell’ambiente.
Il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale
A partire dal 14 giugno 2008, le competenze sanitarie della medicina generale e specialistica penitenziaria, i rapporti di lavoro e le risorse economiche e strumentali precedentemente gestiti dal Ministero della Giustizia, sono state trasferite al Sistema Sanitario Nazionale, e quindi alle Regioni e alle Aziende Sanitarie Locali. Questa riforma è stata completata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2008, a seguito del Decreto Legislativo n. 230 del 1999, emanato dal Ministro della Salute dell’epoca, Rosi Bindi, che ha stabilito il passaggio della salute penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale.
L’iter parlamentare ha richiesto un lungo dibattito sviluppatosi negli anni ’90, grazie alla partecipazione di singoli individui, organizzazioni di volontariato attive all’interno delle carceri, Enti locali, sindacati e autorità politiche.
1. Pietra miliare della salute dei detenuti
Nelle intenzioni dei promotori, questa riforma doveva rappresentare una pietra miliare nella tutela della salute dei detenuti e un passo avanti per la civiltà stessa dell’ordinamento penitenziario, oltre a rappresentare un tentativo di ricostruire un rapporto positivo tra carcere e società. La tutela della salute è stata una delle questioni più controverse sin dall’istituzione dell’ordinamento penitenziario con la Legge n. 354 del 1975.
Purtroppo, ancora oggi la questione della salute è una delle maggiori preoccupazioni all’interno delle carceri.
2. Situazione sanitaria nelle carceri estremamente critica
La situazione sanitaria all’interno delle diverse carceri italiane è estremamente critica, con molti pazienti gravi che necessitano di cure urgenti ma che non possono essere trattati adeguatamente a causa della mancanza di personale, di specialisti e di farmaci. Inoltre, gli ambienti di cura all’interno delle prigioni sono inadeguati e privi di igiene, attrezzature e climatizzazione. Persino gli operatori sanitari penitenziari lamentano questa situazione di degrado.
La forte domanda di assistenza sanitaria da parte dei detenuti ha portato a denunce di malasanità per l’aumento dei suicidi e delle malattie che, seppur sconfitte all’esterno, ancora rappresentano una minaccia all’interno delle carceri.
3. I principi sanciti dal Consiglio d’Europa
È importante sottolineare che la promulgazione dei principi sanciti dal Consiglio d’Europa tramite diverse risoluzioni riguardanti la necessità impellente di garantire ai detenuti e alle persone private della libertà personale un trattamento sanitario equivalente o addirittura identico a quello delle persone in libertà ha spinto tutti i paesi dell’Unione a considerare questo problema e a programmare normative a riguardo. L’Italia, insieme alla Francia, alla Germania e ad altri Paesi, è stata tra i primi paesi a legiferare sul tema della sanità penitenziaria, rendendo disponibili all’interno delle carceri tutte le opzioni di trattamento sanitarie offerte ai cittadini in libertà presenti sul territorio. In tutti gli Stati membri è stata posta particolare attenzione all’assistenza e al recupero dei tossicodipendenti, alle comorbilità psichiatriche e infettive, alla tutela dei minori coinvolti in attività criminali e alle donne detenute.
4. La legge 833 del 1978
Il Servizio sanitario nazionale è stato istituito con la legge 833 del 1978 (5). Secondo questa legge, il Servizio sanitario nazionale ha il compito di garantire la salute di tutti gli individui, senza esclusioni esplicite per i detenuti, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Pertanto, il diritto alla salute delle persone private della libertà deve essere garantito come diritto inviolabile dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. È chiaro che l’istituto penitenziario in cui un individuo viene ristretto diviene il luogo in cui lo stesso esplica la propria personalità.
Tuttavia, per molti anni, la gestione e l’organizzazione dei servizi sanitari all’interno delle carceri è stata affidata al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
5. Il Consiglio di Stato e la competenza esclusiva della sanità penitenziaria
A suo tempo, questa scelta è stata sostenuta da un parere del Consiglio di Stato, secondo il quale la tutela della salute dei detenuti doveva essere di competenza esclusiva dell’Amministrazione penitenziaria, in quanto tale assistenza è considerata un “compito riservato allo Stato” da svolgere attraverso le strutture del servizio sanitario penitenziario preesistenti. In altre parole, si sottolineava l’importanza della specializzazione dell’assistenza sanitaria ai detenuti a causa delle esigenze di sicurezza, e si parlava della “necessità istituzionale” di collaborazione tra la medicina penitenziaria e il trattamento dei detenuti.
Il principio secondo cui la tutela della salute dei detenuti è un requisito fondamentale per qualsiasi forma di trattamento psico-sociale e di recupero è stato a lungo considerato un elemento essenziale nell’organizzazione dei servizi sanitari all’interno delle carceri. La preoccupazione principale era che un’eccessiva decentralizzazione di tale servizio da parte delle direzioni delle carceri e del Ministero della giustizia a favore delle Asl potesse rappresentare una minaccia per la sicurezza e l’ordine degli istituti penitenziari. Naturalmente, l’Amministrazione penitenziaria ha il compito di perseguire i suoi obiettivi istituzionali, ovvero garantire l’ordine, la sicurezza, la disciplina e, contemporaneamente, favorire il reinserimento sociale dei detenuti attraverso il trattamento rieducativo. Tuttavia, si è dimenticato che il nostro sistema penitenziario, attraverso l’attuazione della normativa vigente e l’organizzazione di un’appropriata struttura, deve garantire anche la tutela della salute dei detenuti.
A prima vista, potrebbe non sembrare così evidente l’importanza di garantire la tutela della salute all’interno delle carceri.
6. Dicotomia sanità penitenziaria sicurezza penitenziaria
Si tende a credere che la questione sanitaria sia secondaria rispetto alle esigenze di sicurezza e di trattamento. In realtà, l’analisi della normativa e del ruolo della medicina penitenziaria dimostra che la tutela della salute rappresenta il presupposto essenziale per il corretto perseguimento dei fini istituzionali dell’amministrazione penitenziaria, che mirano a garantire l’ordine, la sicurezza, la disciplina e, contemporaneamente, il reinserimento sociale delle persone detenute.
In altre parole, la gestione dell’esecuzione penale da parte dell’amministrazione penitenziaria non può prescindere dal dovere di tutelare la salute della popolazione carceraria. Questo è necessario per garantire il rispetto della dimensione personale e umana della persona reclusa e per evitare che il carcere diventi solo un contenitore di corpi in uno spazio angusto e infelice. In tal caso, l’esecuzione della pena violerebbe il diritto alla salute costituzionalmente garantito e sarebbe contraria al senso di umanità. Pertanto, la risposta sanitaria deve essere adeguata e basata su un modello organizzativo capace di affrontare le diverse emergenze in un ambiente caratterizzato da una forte variabilità e da eventi imprevedibili, come il flusso della popolazione carceraria.
7. Il problema del sovraffollamento dei detenuti
In questo momento, c’è un bisogno crescente di garantire la tutela della salute all’interno delle carceri, a causa di una serie di fattori che stanno influenzando il benessere dei detenuti. Tra questi fattori, possiamo annoverare l’eccesso di affollamento, la convivenza forzata, i cambiamenti demografici della popolazione detenuta, l’epidemia di tossicodipendenza, l’infezione da HIV e i disturbi mentali. Tutti questi elementi contribuiscono ad aumentare la sofferenza dei detenuti e ad aumentare la tensione tra la salute e la sicurezza all’interno delle carceri.
L’istituzione delle REMS
La Legge n. 81 del 2014, che ha modificato il decreto legge del 31 marzo 2014, ha abolito gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG).
Queste strutture videro la luce circa 150 anni fa, nel 1876, quando fu creata una “sezione per maniaci” nella Casa Penale di Aversa. Successivamente, altri istituti simili sono stati aperti in diverse città italiane. Tuttavia, negli anni ’70, il modello dei manicomi è stato messo in crisi dalla diffusione della nuova psichiatria proposta da Franco Basaglia e dai numerosi casi di maltrattamenti e abusi all’interno delle strutture. Al fine di superare questa concezione positivista della malattia mentale e del trattamento dei rei ritenuti infermi, sono stati istituiti gli OPG.
Che cosa sono e dove sono le REMS – Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza ?
Che cosa è la REMS ?
Una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) è una struttura residenziale destinata ad ospitare persone che hanno commesso reati e sono stati giudicati affetti da disturbi psichiatrici o di personalità che li rendono pericolosi per sé stessi o per gli altri. La REMS è una misura di sicurezza prevista dal sistema penale italiano per garantire la protezione della società e la cura dei pazienti, al fine di favorire la loro riabilitazione e il reinserimento nella società.
Chi va in una REMS ?
In una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) vengono rinchiusi individui che hanno commesso reati e sono stati giudicati affetti da disturbi psichiatrici o di personalità che li rendono pericolosi per sé stessi o per gli altri. In particolare, si tratta di persone che non sono considerate legalmente responsabili per i loro atti a causa della loro condizione di malattia mentale, ma che comunque richiedono un trattamento terapeutico e una sorveglianza continua per prevenire possibili recidive.
Cosa si fa in una REMS ?
In una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) vengono fornite cure psichiatriche e psicologiche ai pazienti al fine di ridurre il rischio di recidive e garantire il loro benessere mentale. La REMS prevede un trattamento personalizzato per ciascun paziente, che può includere terapie individuali o di gruppo, attività occupazionali e ricreative, monitoraggio farmacologico e assistenza sanitaria continua. Inoltre, la REMS prevede una sorveglianza costante del personale, che garantisce la sicurezza della struttura e la prevenzione di eventuali comportamenti pericolosi da parte dei pazienti.
Quando si va in REMS ?
Si va in una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) quando si è stati giudicati affetti da disturbi psichiatrici o di personalità che ci rendono pericolosi per sé stessi o per gli altri, e si è stati ritenuti non legalmente responsabili per i propri atti a causa della condizione di malattia mentale. La REMS viene quindi prescritta come misura di sicurezza dal sistema penale italiano per proteggere la società e garantire la cura dei pazienti, al fine di favorire la loro riabilitazione e il reinserimento nella società. In generale, l’ingresso in una REMS avviene dopo una valutazione psichiatrica approfondita e una decisione presa dal tribunale competente.
Quante sono e dove sono le REMS in Italia ?
Attualmente in Italia esistono 30 Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) distribuite in varie regioni del Paese, per un totale di circa 600 internati.
Dagli OPG alle REMS
1. Il reo folle
Per comprendere a fondo la nascita degli O.P.G., è necessario analizzare la questione della non imputabilità del “reo folle”.
In passato, il Codice penale albertino, in vigore al momento in cui la sezione di Aversa fu creata, considerava la malattia mentale come una causa di non imputabilità.
In seguito, con l’emanazione del nuovo Codice Zanardelli, che si ispirava ai principi illuministici come la mitigazione delle pene, il riconoscimento del diritto di sciopero, l’abolizione della pena di morte e il divieto di estradizione per i reati politici, l’approccio al diritto penale è diventato meno rigido. Questo codice del 1889 ha rappresentato un segnale di grande civiltà da parte dell’Italia, poiché la maggioranza delle altre nazioni europee continuava a prevedere e applicare la pena capitale.
2. Il codice Zanardelli
La questione della non imputabilità dell’infermo di mente è stata affrontata in modo umanitario anche nel Codice Zanardelli. L’articolo 46 del codice stabiliva che una persona non è punibile se, al momento del reato, si trovava in uno stato di infermità mentale che gli aveva tolto la coscienza o la libertà dei propri diritti. Tuttavia, se il giudice ritiene che la liberazione dell’imputato prosciolto sia pericolosa, può ordinarne la consegna alle autorità competenti per i provvedimenti di legge.
3. Il codice Rocco
Il codice Rocco prevede che se una persona è totalmente incapace di intendere e volere, secondo una perizia, il giudice stabilisce che la persona non è imputabile e la proscioglie. In questo caso, la malattia ha condizionato e sovradeterminato il reato e la persona prosciolta non partecipa al processo. Se la persona viene ritenuta “pericolosa socialmente”, ovvero in grado di commettere nuovi reati, viene sottoposta a misure di sicurezza detentive presso un ospedale psichiatrico giudiziario (O.P.G.), a seconda della gravità e dell’efferatezza del reato. Se la persona viene giudicata semi-inferma di mente, mantenendo una capacità ridotta di intendere e di volere, questa persona è imputabile e viene sottoposta a processo. In caso di condanna, la pena viene diminuita di un terzo, ma se la persona è ritenuta pericolosa socialmente, viene inviata in un O.P.G. dopo la detenzione.
4. L’Ordinamento Penitenziario del 1975
Le misure di sicurezza detentive venivano eseguite nei “manicomi criminali”, come stabilito dall’articolo 222 del Codice Penale del 1930. Tuttavia, negli anni ’70, grazie ai cambiamenti culturali nei settori medico, giuridico e sociale, si è assistito alla trasformazione di questi manicomi in Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG). La Legge n. 354 del 1975 ha introdotto l’obiettivo di rieducazione del detenuto con atti rispettosi della dignità umana, ma gli internati degli OPG non hanno subito un cambiamento significativo delle loro condizioni.
5. La chiusura degli OPG
Il processo che ha portato alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è iniziato nel 1999 con l’emanazione del D.lgs. 22 giugno 1999, n. 230 “Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5, della legge 30 novembre 1998, n. 419”. Successivamente, ci sono stati una serie di provvedimenti normativi fino al 2013 con la L. 23 maggio 2013, n. 57, la quale ha convertito il decreto legge n. 24/2013 e ha stabilito il programma regionale per il superamento degli OPG, definendo “tempi certi e impegni precisi”.
6. La legge 81 del 2014
La svolta decisiva è avvenuta con la Legge n. 81 del 2014 (6), la quale ha apportato significative modifiche per sancire il superamento dell’approccio repressivo alla gestione degli OPG. In primo luogo, la legge ha stabilito una nuova prassi per l’applicazione delle misure di sicurezza per i malati mentali, che prevede l’adozione di una misura di sicurezza diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo che sia dimostrato che ogni altra misura non sia idonea ad assicurare le cure adeguate e a prevenire la pericolosità sociale della persona, sulla base delle sue qualità soggettive e non tenendo conto delle condizioni di cui all’articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale.
7. La legge di conversione
La legge di conversione ha esteso la portata di questo principio anche alle decisioni in tema di misure di sicurezza adottate dalla magistratura di sorveglianza, e ha precisato che la mancanza di programmi terapeutici individuali non costituisce un elemento sufficiente a supportare il giudizio di pericolosità sociale.
Uno degli aspetti fondamentali della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari riguarda la cura dei pazienti internati. Con l’entrata in vigore della legge di conversione, tutti i soggetti ricoverati dovranno avere un percorso terapeutico-riabilitativo individuale di dimissione, il quale dovrà essere inviato al Ministero della Salute e all’autorità giudiziaria competente entro 45 giorni. Per i pazienti considerati persistentemente pericolosi per la società, il programma terapeutico dovrà documentare in modo preciso le ragioni per cui il ricovero dovrà essere prolungato in via eccezionale e temporanea.
8. Le REMS
La pericolosità sociale resta l’elemento decisivo per il mantenimento del ricovero in quello che sarà il nuovo sistema delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS). In caso contrario, il soggetto sarà considerato un detenuto. Inoltre, la legge prevede che le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle REMS, non possono superare il tempo previsto per la pena detentiva massima del reato commesso. Questo criterio è fondamentale per eliminare la pratica dei cosiddetti “ergastoli bianchi”, ovvero la proroga all’infinito delle misure di sicurezza detentive.
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) sono stati descritti in vari modi, inclusi come manicomi criminali, un termine che richiama la crudeltà della situazione. Inoltre, sono stati considerati come “non-luoghi” nel sistema giudiziario italiano, utilizzando il concetto di Marc Augé per descrivere un luogo privo di identità, relazioni e storia.
9. Il pazzo delinquente
La chiusura degli OPG ha rappresentato un passaggio ad una nuova era nella gestione dei criminali con problemi di salute mentale: il “pazzo delinquente” diventa un paziente da curare e riabilitare, senza considerare più la malattia mentale come una predisposizione genetica o antropologica.
La mente è diventata un oggetto di studio scientifico che si allontana dall’analisi lombrosiana, che ha contribuito alla fondazione dei manicomi criminali.
Il fallimento delle REMS
In passato, i manicomi giudiziari erano utilizzati per detenere individui considerati pericolosi per la società, ma che non erano punibili a causa di una condizione di infermità mentale.
In seguito, invece, gli ospedali psichiatrici giudiziari sono stati utilizzati per proteggere la società dalle persone considerate socialmente pericolose che hanno commesso un reato. Il giudice può ordinare il ricovero in un ospedale psichiatrico come misura di sicurezza, ma questa misura può essere revocata solo se la persona non è più considerata socialmente pericolosa.
Negli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia, i pazienti con problemi psichiatrici venivano rinchiusi per un periodo minimo di due, cinque o dieci anni a seconda della gravità del reato commesso. Dopo il periodo di detenzione, il paziente deve sottoporsi a una nuova valutazione della pericolosità ogni sei mesi. Tuttavia, molti pazienti restano incarcerati indefinitamente, alcuni tornano a commettere reati, mentre altri si istituzionalizzano e non riescono a tornare alla vita normale.
1. L’indagine parlamentare sugli OPG
Una indagine parlamentare del 2011 ha rivelato le pessime condizioni degli ospedali psichiatrici giudiziari e la carenza di cure adeguate.
Il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) in Italia è iniziato nel 2012 con l’introduzione della legge n. 9. Questa legge ha stabilito che gli OPG dovessero essere trasformati in Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), strutture residenziali di piccole dimensioni che dovevano favorire la riabilitazione sociale dei pazienti affetti da malattie mentali. Tuttavia, la chiusura degli OPG è stata ritardata da diverse normative e scadenze, fino al decreto-legge n. 52 del 2014, che ne ha stabilito la chiusura dal 1° aprile 2015.
2. Le novità delle REMS
Le REMS sono strutture residenziali di piccole dimensioni che hanno lo scopo di favorire la riabilitazione sociale dei malati mentali, a differenza degli ospedali psichiatrici giudiziari, che avevano una funzione principalmente custodiale. Le principali differenze tra le REMS e gli ospedali psichiatrici giudiziari sono il numero limitato di ospiti (massimo 20), la gestione interna esclusiva del sistema sanitario nazionale, la disposizione del ricovero solo quando non esistono alternative per garantire le cure adeguate e la durata del ricovero stabilita in base alla pena detentiva prevista per il reato commesso. L’obiettivo principale è quello di focalizzarsi sulla malattia e sulla riabilitazione dei pazienti, piuttosto che sulla detenzione.
Attualmente sono attive circa 30 REMS con 600 posti letto, ma ci sono circa 670-750 persone in lista d’attesa per l’assegnazione ad una REMS e i tempi di attesa sono di circa dieci mesi o anche molto più lunghi in alcune regioni.
La gestione interna delle REMS è di competenza del sistema sanitario nazionale e il giudice penale dispone il ricovero solo quando ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla pericolosità sociale. Ci sono stati problemi strutturali, di sicurezza e di assistenza medica, come la carenza di medici internisti o di medicina generale accanto agli psichiatri e agli psicologi. La Corte costituzionale ha recentemente sottolineato i problemi di attuazione delle norme vigenti riguardo alle REMS, che dovrebbero essere eliminate.
3. L’intervento della Corte Costituzionale sulle REMS
La Corte costituzionale ha emesso una sentenza in cui si afferma che l’applicazione concreta delle norme vigenti in materia di REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) presenta numerosi problemi strutturali, di sicurezza e di assistenza medica, che il legislatore dovrebbe risolvere al più presto. La sentenza sostiene che l’assegnazione alle REMS deve essere disciplinata dalla legge, al fine di rispettare il principio della riserva di legge. Inoltre, la Corte ha affermato che il sistema REMS attuale non tutela efficacemente né i diritti delle potenziali vittime di aggressioni, né il diritto alla salute del malato, il quale non riceve i trattamenti necessari per aiutarlo a superare la propria patologia e a reinserirsi nella società. Infine, la Corte ha rilevato che la totale estromissione del Ministro della Giustizia dalla competenza in materia di REMS non è compatibile con l’articolo 110 della Costituzione.
Inoltre, la Corte costituzionale ha evidenziato che la regolamentazione delle REMS è solo in minima parte affidata alla legge, rendendo fortemente disomogenee queste realtà da Regione a Regione, e che il sistema non tutela in modo efficace i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni o il diritto alla salute del malato.
La Corte ha chiesto una complessiva riforma di sistema che assicuri l’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza, la realizzazione e il buon funzionamento di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, e forme di idoneo coinvolgimento del Ministro della Giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti.
4. La condanna della CEDU
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano per la violazione degli articoli 3, 5 e 6 della Convenzione perpetrata ai danni di un cittadino sottoposto a misure detentive applicate in regime carcerario ordinario, nonostante le decisioni dei giudici che ne avevano accertato la responsabilità penale ne avessero disposto il ricovero in una REMS. La CEDU ha contestato il mantenimento illegale in regime carcerario ordinario e l’inadeguatezza delle sue condizioni di detenzione.
Nonostante il giudice penale abbia deciso che per la sua pericolosità e infermità mentale, il soggetto dovesse essere ricoverato in una REMS, la lista di attesa era lunga e il soggetto è rimasto in detenzione. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha poiché il mantenimento del soggetto in stato detentivo in ambiente penitenziario ordinario ha impedito la cura terapeutica adeguata e ha costituito un trattamento inumano e degradante. La Corte ha definito la privazione della libertà del ricorrente come “illegale” e ha condannato lo Stato italiano a versare una somma di euro 36.400 per danno morale e di euro 10.000 per le spese.
La sentenza in questione afferma che la detenzione di un paziente mentale può essere considerata regolare solo se avviene in un istituto adeguato e il suo scopo è quello di fornire le cure necessarie per migliorare la salute dell’individuo e gestire la sua pericolosità. Nel caso specifico, l’individuo non è stato trasferito in una struttura adeguata e non ha ricevuto le cure necessarie, anche dopo la sentenza che ne aveva ordinato la liberazione. Lo Stato è tenuto ad organizzare il sistema penitenziario in modo da garantire il rispetto della dignità umana dei detenuti, e il ritardo nell’ottenere un posto in una struttura adeguata è accettabile solo se giustificato. Nel caso esaminato, le autorità non hanno cercato attivamente una soluzione per la detenzione dell’individuo.
Insomma, nonostante la sua pericolosità e la sua infermità mentale, il soggetto non ha ricevuto il trattamento adeguato per la sua salute mentale e non è stato trasferito in una struttura appropriata nonostante le richieste e le pressioni. I giudici europei hanno stabilito che il mantenimento in stato detentivo in ambiente penitenziario ordinario ha aggravato le condizioni dell’individuo e costituito un trattamento inumano e degradante, vietato dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo Stato italiano è stato condannato a versare una somma di denaro come risarcimento per il danno morale e le spese sostenute dall’interessato.
In chiusura, possiamo senz’altro affermare che l’eliminazione degli ospedali psichiatrici giudiziari in favore delle REMS ha causato molti problemi nell’esecuzione penale senza adeguate soluzioni sulla gestione dei detenuti ed internati socialmente pericolosi con problemi di salute mentale.
Lo stato della sanità penitenziaria prima del passaggio al SSN
Concludo citando lo stralcio relativo alla sanità penitenziaria della relazione al Parlamento del Ministro Roberto Castelli sullo stato delle carceri, presentata alle Camere il 3 ottobre del 2002. Cioè pochi anni prima che passasse al SSN.
1. La relazione al Parlamento del Ministro Castelli sullo stato delle carceri
“ … I risultati provenienti dal settore sanità sono anche essi di tutto riguardo, a nostro avviso, specie se commisurati ad una situazione critica.
Al giugno 2002, infatti, un terzo della popolazione carceraria si dichiara tossicodipendente o ex tossicodipendente: i pazienti affetti da HIV sono 1.401, di cui 192 con AIDS conclamato; si stimano circa 15 mila detenuti portatori di virus epatici; sempre più numerosi sono i soggetti che manifestano disagio psichico.
A fronte di questo scenario disponiamo di strutture penitenziarie, tutte dotate di infermeria e di 15 centri clinici.
Il personale conta 350 medici incaricati, 1.181 medici di guardia, 665 infermieri di ruolo, 1.368 infermieri a parcella, 23 ausiliari sociosanitari, 101 tecnici e numerosi rapporti con personale specialistico a convenzione.
Sul fronte delle patologie di natura infettiva sono stati realizzati reparti specializzati per i detenuti affetti da HIV come, ad esempio, il reparto inaugurato quest’anno nella casa circondariale di Modena.
Grande attenzione è stata inoltre rivolta all’assistenza psichiatrica per la quale si è potenziata la struttura presente sul territorio, con una distribuzione regionale delle unità operative più importanti.
Infine, per quanto attiene al potenziamento dei posti letto per il ricovero, ricordo il recente avvio di un reparto presso l’ospedale San Paolo di Milano, che finora ha consentito 372 ricoveri, e a breve sarà operativa una nuova unità di degenza presso l’ospedale di Viterbo …”
Conclusioni
Mi auguro, ed auguro al sistema dell’esecuzione penale italiana, che si rimetta mano al più presto alla questione (normativa ed organizzativa) della sanità penitenziaria a beneficio del personale della Polizia Penitenziaria e, soprattutto, per garantire il rispetto dell’art. 11 della legge 354 sulla gestione del Servizio sanitario all’interno delle carceri, laddove viene stabilito l’obbligo di fornire servizi sanitari adeguati alle esigenze della popolazione detenuta.
Senza mai dimenticare il precetto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha definito la salute: “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solo l’assenza di malattie”.
NOTE
- Legge n. 740 del 9 ottobre 1970
- Legge n. 354 del 26 luglio 1975 – Ordinamento Penitenziario
- Legge n. 419 del 30 novembre 1998
- Decreto Legislativo n. 230 del 22 giugno 1999
- Legge 833 del 23 dicembre 1978
- Legge n. 81 del 30 maggio 2014