Durante la pandemia di Covid-19 si è spesso parlato di next normal o new normal ad indicare che il SSN, anche grazie ai fondi PNRR della Missione 6 e a quelli relativi alla digitalizzazione, avrebbe potuto, dopo l’emergenza, percorre la strada di un deciso cambiamento e ripensamento dei suoi modelli di servizio. Il Rapporto OASI 2023 evidenzia come il new normal sia molto simile ad un past normal. Infatti, l’analisi dei dati mostra che, dopo l’extra finanziamento per fronteggiare l’emergenza Covid-19 e il correlato aumento delle assunzioni di personale sanitario, il finanziamento per la sanità è tornato a scendere con un trend che lo collocherà tra il 6,1% e il 6,5% del PIL nei prossimi anni. Anche il dibattito politico ricalca vecchi schemi interpretando in senso inverso il principio del giornalismo moderno. Secondo questo principio “i fatti sono sacri, e le opinioni libere”, mentre nel dibattito sul SSN sembra valere il principio opposto secondo cui “le opinioni sono sacre, e i dati sono liberi”. Per sottolineare la propria attenzione al SSN, infatti, il governo rimarca l’aumento di 3 miliardi o poco più destinati al Fondo Sanitario Nazionale, mentre le opposizioni sottolineano che lo stanziamento comunque decresce in percentuale sul PIL e non può compensare l’aumento dell’inflazione e il caro energetico. Il dibattito si concentra su aspetti particolari quali la riduzione delle liste d’attesa, il rafforzamento dell’assistenza territoriale o l’innovazione della telemedicina e in generale delle tecnologie digitali; mentre governo, opposizione e, duole dirlo, nemmeno la cosiddetta società civile né la maggior parte degli esperti si confrontano sul problema reale, quello di un ripensamento profondo del SSN dopo 45 anni dalla sua istituzione.

Il Rapporto OASI 2023 si propone di porre almeno alcune premesse per questo ripensamento, partendo dalla evidenza dei dati e dall’analisi dei principali trade-off – richiamati nel capitolo 1 – che dovranno essere affrontati. Visto il progressivo aumento del numero di over 65 rispetto a giovani e lavoratori, il primo trade-off riguarda il mix, nel sistema di welfare, tra il finanziamento per il sistema salute e la spesa pensionistica. Tutti gli esperti concordano sul fatto che la spesa pensionistica non potrà essere sostenibile con le regole attuali. D’altra parte, però, la soluzione non potrà essere quella di ridurre le pensioni o semplicemente innalzare progressivamente l’età del pensionamento. Questa insostenibilità potrebbe, invece, essere affrontata con profonde modifiche del mercato del lavoro nella direzione di consentire forme flessibili, tra cui la possibilità per chi è ancora in condizioni di farlo di svolgere un’attività lavorativa flessibile e senza porre alle aziende l’opzione di “espellere dal mercato del lavoro” anche prima dell’età pensionabile persone a più elevato costo per assumere giovani a costo più basso. È noto che imprenditori, consulenti e lavoratori autonomi motivati e ancora in buona salute continuano a lavorare; in genere, hanno condizioni di salute migliori di pensionati inattivi o che si sentono emarginati. Quindi navigare il trade-off tra sistema salute e spesa pensionistica potrebbe essere possibile dirottando parte della spesa pensionistica verso il sistema salute in senso ampio, con iniziative che permettano di rendere concreti concetti ora molto in voga quali quelli dell’healthy & active aging. Un secondo trade-off che emerge dal Rapporto OASI riguarda la strutturale divaricazione tra la domanda di prestazioni e servizi e la disponibilità di risorse a sostegno della loro erogazione. Un finanziamento del SSN più basso rispetto a quanto avvenga in altri paesi come Francia, Germania, Regno Unito, dovuto anche all’elevato peso degli interessi per l’alto debito pubblico italiano, potrà e dovrà essere affrontato almeno in parte spostando l’attenzione anche sul governo della domanda. Negli ultimi 20 anni il vincolo al finanziamento del SSN è stato affrontato soprattutto dal lato dell’offerta, con interventi finalizzati ad aumentare l’efficienza e a ridurre i costi dei servizi erogati. Questa enfasi sull’offerta ha invece trascurato di affrontare il fenomeno del progressivo spostamento di una parte della domanda verso erogatori privati, e verso forme di pagamento dei servizi out of pocket, oppure intermediate da fondi integrativi e assicurazioni. In effetti, in questi anni si sono levate voci anche autorevoli che hanno sottolineato questa tendenza. In questo caso, però, vale più che mai il detto secondo cui non basta gridare “al lupo, al lupo!” ossia al rischio di abbandono dei principi di universalità, equità, solidarietà del SSN. Occorrono azioni affinché si possa prevenire ed affrontare il pericolo del “lupo”. Il Rapporto indica alcune linee strategiche di intervento. Da un lato un’azione più decisa per passare dalla logica delle prestazioni a quella della presa in carico, dall’altro la definizione di priorità con la revisione dei LEA non solo in termini espansivi come in passato ma anche in termini selettivi, eliminando prestazioni che facilmente si prestano a situazioni di over-treatment. I due aspetti sono strettamente collegati perché la logica delle prestazioni facilita un circolo vizioso secondo cui l’offerta crea la domanda e, per le prestazioni coperte dai LEA, si determina un ricorso inappropriato al servizio pubblico. Quando su questo meccanismo interviene il vincolo dell’offerta, infatti, così come è accaduto negli ultimi anni, si ha una selezione non programmata e non razionale dei servizi, che, inevitabilmente, penalizza le fasce più deboli e fragili della popolazione. A nostro avviso, la gestione della domanda di servizi sanitari fa principalmente capo alla politica, che ha come scopo non solo quello di rappresentare le preferenze dei cittadini ma anche di guidare le loro aspettative. La responsabilità di navigare questo trade-off non può quindi esser totalmente demandata al management sanitario ma la politica (nazionale e regionale), informata dalla conoscenza dei territori e dei loro bisogni di salute che il management può offrire, dovrebbe assumere la leadership delle scelte legate a questo importantissimo trade-off, incluse quello più impopolari, ed esercitare una guida complessiva del sistema salute anche nelle sue componenti private. Lasciare il campo, in altre parole, non è una vera opzione. Un terzo trade-off che emerge dal Rapporto OASI riguarda la divaricazione di un sistema a forte connotazione regionale. I dati dimostrano che nel periodo dell’emergenza Covid-19 le regioni dotate di quello che viene definito un forte capitale istituzionale sono state in grado di utilizzare in misura maggiore i finanziamenti previsti e hanno aumentato la dotazione di medici, infermieri, altri professionisti in misura assai più rilevante di quelle con un debole capitale istituzionale. Si ricorda che le regioni del Sud hanno utilizzato, in media, il 41% dei fondi destinati al recupero delle liste d’attesa, quelle del Centro il 57%, quelle del Nord il 92%. Inoltre, alcune regioni del Centro-Nord sono riuscite a ritornare al numero di personale del comparto salute uguale o addirittura superiore rispetto al 2009, mentre le regioni del Sud sono rimaste molto al di sotto. Anche in questo caso non è sufficiente analizzare e denunciare il fenomeno per risolverlo, né tantomeno sperare in una soluzione istituzionale, ossia una ri-centralizzazione del SSN. Ad esempio, il sistema dell’istruzione è centralizzato, ma questo non evita che vi siano forti disparità regionali. Per evitare le dinamiche secondo cui “i forti diventano sempre più forti e i deboli sempre più deboli” occorrono interventi in grado di aiutare a diventare più forti anche le regioni con capitale istituzionale, organizzativo e professionale più debole. Questa riflessione vale a maggior ragione in un periodo in cui stanno avanzando proposte di regionalismo differenziato. Il dibattito politico e sociale si focalizza sul piano dei principi, mentre dovrebbe essere portato su quale strategia sia più adeguata per governare il cambiamento e convergere sui risultati. Ad esempio, strategie di diffusione di conoscenza e di professionalità, di alleanze e scambio tra regioni, di apprendimento congiunto e di sostegno alle realtà più deboli da parte di organi centrali appaiono opzioni non solo ben conosciute ma anche di attuazione realistica. Come sempre, il Rapporto OASI e il team di ricercatori CeRGAS che lo scrivono non si limitano ad osservare i fenomeni ma cercano di delineare alcune possibili direzioni per interventi migliorativi. Sottesa a queste proposte c’è una importante premessa. Il cambiamento non può passare da ipotetiche riforme istituzionali o essere guidato dalle tecnologie, anche quelle più avanzate o innovative, ma passa attraverso la motivazione e la valorizzazione delle persone, in particolare l’attenzione posta sul ruolo delle aziende e delle direzioni strategiche del top management. Più che mai oggi il top management è di fronte a un bivio: da un lato pensare che i vincoli del sistema siano insuperabili e quindi accettare una funzione di esecuzione (seppur di alto livello) di indirizzi nazionali o regionali, oppure accettare la sfida di individuare spazi strategici di innovazione. Chi sceglie la seconda alternativa ha a nostro parere la possibilità di diventare un vero innovatore che, mutuando una frase di Piero Bassetti, primo presidente di Regione Lombardia, significa “essere capace di realizzare cose improbabili”. Per fare questo, occorre andare oltre la declinazione del concetto di innovazione proposta oltre 100 anni fa da Schumpeter. Infatti, l’innovazione di prodotto, ad esempio nuovi farmaci di precisione, terapie digitali, nuovi tessuti, organi artificiali, sono e saranno sempre più messi a disposizione dal progresso scientifico. L’innovazione di processo è ormai un fatto acquisito sul piano teorico e pratico tramite l’esperienza accumulata con l’implementazione dei PDTA. L’innovazione di mercato è un fatto acquisito con l’accentuazione degli interventi legati alle condizioni di cronicità che già ora assorbono circa il 70% della spesa sanitaria. Semmai, si tratta di innovare l’ampio territorio ancora poco esplorato collegato alla prevenzione, un ambito che richiede di affrontare la complessità derivante dai molti fattori che influenzano lo stato di salute quali gli stili di vita, le condizioni di lavoro, l’inquinamento ambientale. Con riguardo alla quarta dimensione dell’innovazione schumpeteriana, quella organizzativa, si può dire che sia di più difficile realizzazione, anche se il Rapporto OASI propone soluzioni quali l’approccio multiprofessionale e multidisciplinare dei tumor board, la razionalizzazione della rete di pronto soccorso, l’impiego di personale “laico” per liberare tempo ed energie di medici ed infermieri, professioni che oggi hanno minore attrattività.

L’ innovazione che è più difficile da realizzare, ma senza le quale non si uscirà dalle “trappole” dei trade-off sopra riportati, può essere descritta nei seguenti termini: si tratta di una innovazione culturale che in primis riporti a dare più rilevanza all’essere che non all’apparire o avere. Questa innovazione potrebbe infatti ridare prestigio e senso a professioni legate ai servizi alle persone quali sono quelle del sistema di salute, dall’assistenza, dell’istruzione, della ricerca. Inoltre questa innovazione culturale ridarebbe dignità al “sistema dei doveri” oltre a quello dei diritti. Troppe dichiarazioni a livello internazionale, nazionale, regionale e troppe politiche, infatti, parlano di diritti ma non si preoccupano dei correlati doveri, tra cui quello fondamentale, legato al valore della responsabilità di attuare il cambiamento e non solo pensarlo. L’Italia è un Paese nel quale è più elevato che in altri il gap tra la formulazione di leggi, norme, piani, che indicano cosa fare, e la responsabilizzazione sulla loro attuazione effettiva. Spesso si pensa che l’approvazione di una legge o di un piano, semmai ottenuta con difficoltà, sia il principale risultato. In realtà, al massimosi tratta di un passaggio intermedio, che, senza la capacità di attuazione, non produce risultati. Infine, le direzioni strategiche delle aziende sanitarie devono affrontare l’innovazione della leadership che richiede di essere visionari (saper guardare oltre i vincoli che sembrano insuperabili), autorevoli (dimostrare di comprendere i problemi che si devono affrontare), e credibili (dimostrare coerenza tra dichiarazioni e comportamenti e attenzione alle relazioni). È grande l’impatto motivazionale di un direttore generale che lascia la scrivania e va nel pronto soccorso, negli ambulatori, che conosce i servizi e i professionisti, che discute le possibili soluzioni e che continuamente richiama la finalità di garantire buone risposte ai bisogni di salute lasciando da parte l’enfasi su procedure e adempimenti. Queste indicazioni generali diventano concrete accettando la sfida di investire sulle persone almeno quanto si investe su edifici, tecnologie, farmaci, robot, e dispositivi medici.

Di Remo12

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